NORMA E PONTINIA DUE COMUNI, UNA IDENTICA EPOPEA DUE SINDACI DA SOLLECITARE

(Articolo pubblicato sul numero di marzo 2017 della Rivista Nuova Informazione)

Per mera casualità, due paesi della provincia di Latina che più diversi non si può, ancorché relativamente vicini sia in linea d’aria che per strada carrabile, Norma e Pontinia, uniti per una occasionale e contingente opportunità burocratico-organizzativa necessaria al fine di poter fruire dei benefici regionali previsti per la realizzazione di un progetto di ricerca socio-storica sugli avvenimenti verificatisi nell’inverno-primavera 1944 in coincidenza e a seguito dello sbarco ad Anzio-Nettuno delle truppe angloamericane allora neo-alleate del nostro Paese, hanno scoperto di avere avuto, comunque, qualcosa – forse parecchio – in comune.

La scoperta di fatti reali e oggettivi è stata resa possibile dall’impulso impresso e dall’impegno profuso, fra un purtroppo diffuso disinteresse e ricorrenti scoraggiamenti, dalla Associazione Culturale “I Ciclopi” di Norma, a cui le Amministrazioni Comunali dei paesi interessati hanno affidato l’incarico della ricordata ricerca, che è stata realizzata con il coordinamento scientifico del Prof. Adolfo Gente, la consulenza storico-documentaria dello stesso Gente, per Norma, e del Dott. Claudio Galeazzi, per Pontinia, nonché con la collaborazione attiva e costruttiva di molti testimoni, dei docenti e degli alunni delle Scuole Elementari e Medie di Norma, Sermoneta e Pontinia.

Per queste ragioni, sarebbe opportuno proseguire la ricerca anche con una certa sollecitudine, se non si vuole perdere la possibilità di ascoltare i racconti dei pochi superstiti ancora in vita e che hanno una età ormai molto avanzata.

 

La sorpresa e lo stupore per la scoperta di avere una “cosa” in comune, stanno nella “cosa” in sé, e si accrescono se si pensa alle profonde e sostanziali differenze esistenti – allora come oggi – fra i due Comuni: Norma è un paesetto di collina dalla storia bimillenaria (qualche studioso la vuole fondata nel 492 a.C., altri vari secoli prima); durante tutta la sua esistenza ha rincorso, senza mai riuscire a raggiungerli, i 4.000 abitanti; la sua economia è sempre stata sostanzialmente silvo-pastorale e agricola, con la lavorazione delle olive, e del relativo olio, e delle castagne in via prioritaria; solo da alcuni anni ha una strada che la collega a Cori a mezza costa. Pontinia, invece, è una cittadina di pianura, la terza delle città nuove fondate nell’Agro Pontino redento dalla malaria e inaugurata nel 1935; al centro di una fitta rete stradale e, di fatto, sulla Strada Statale Appia, che ne attraversa il territorio; nel 1944 – cioè ad appena nove anni di vita – aveva una popolazione di circa 7.000 abitanti, che viveva di agricoltura e dei primi insediamenti industriali, con uno sguardo al vicino mare e ai numerosi e pescosi corsi d’acqua, naturali e artificiali, che circondano e lambiscono il centro storico e i vari nuclei abitati sparsi nella campagna.

Come se ciò non bastasse, anche dal punto di vista antropologico le due comunità sociali e civiche sono alquanto disuguali. Gli abitanti di Norna erano – e, ancora oggi, nella stragrande maggioranza sono – indigeni, autoctoni, appartenenti a famiglie di cultura e tradizioni ciociarolepine, insediatesi in quel territorio da tempo immemorabile, spesso da secoli. Allora, invece, la popolazione di Pontinia era costituita ancora soprattutto di immigrati (deportati?) dall’Italia settentrionale, con netta prevalenza (diversamente da altre zone strappate alla palude) di ferraresi e romagnoli in genere, i quali, tante volte, assolutamente digiuni di conoscenze e di competenze agricole necessarie per la coltivazione della terra e l’allevamento del bestiame loro assegnati, cercavano di integrarsi con i contadini e i coltivatori diretti del posto, onde averne amicizia, aiuto e insegnamento per rendere produttivo quanto avuto. Naturalmente i nuovi arrivati erano portatori di una diversa cultura e seguitavano ad usare il proprio dialetto, oltre che a osservare usi, costumi e tradizioni dei paesi di provenienza.

Nell’inverno-primavera del 1944 queste due comunità, così radicalmente diverse, hanno vissuto una unica, identica ed esaltante epopea.

Esclusi come possibili obiettivi militari, tattici e/o strategici, soprattutto se oggetto dei ricorrenti e micidiali bombardamenti aerei e navali, che tanti lutti e distruzioni provocarono ad alcuni comuni vicini, ridotti spesso a un cumulo di macerie (Cisterna, Velletri, ma, in parte, anche Sezze, Cori, Latina, Terracina ecc.); esclusione determinata dalla collocazione geografica dei due paesi o per intervento divino (gran parte dei normesi sono convinti che sia avvenuto per la intercessione della “loro” Madonna del Rifugio, dagli stessi calorosamente venerata da ormai oltre tre secoli), Norma e Pontinia diventarono meta agognata e ricercata, perché sicura, di migliaia di persone in fuga dai luoghi di abituale residenza, ormai insicuri se non addirittura pericolosi, di partigiani, di militari sbandati ecc. I cosiddetti sfollati trovarono nei loro territori accoglienza, ospitalità, assistenza e cura materiale e spirituale, cibo, in una parola condizioni di vita precarie ma accettabili nella situazione data (con le solite, deprecabili, eccezioni). Quasi inconsapevolmente si realizzò una vera propria epopea, umanamente esaltante, la cui parola d’ordine caratterizzante fu “solidarietà” senza aggettivi e nell’accezione più ampia e umana del termine. Il futuro, infatti, era incerto per tutti.

In poche settimane la popolazione presente in ciascuno dei due comuni lievitò fino a 25-30 mila persone, secondo stime ufficiali molto vicine alla realtà fattuale. A tutte, con grande generosità e indicibili sforzi, nei limiti del possibile, vennero assicurati, si fa per dire, vitto, alloggio e assistenza, in uno slancio umanitario, tanto più valido e apprezzabile, se rapportato alla bruttura, alla cattiveria, all’egoismo, ai ricatti, alle discriminazioni, alle mortificazioni, alle umiliazioni, morali e materiali, purtroppo propri di una inutile guerra guerreggiata e se in rapporto, altresì, del fatto che tutto quanto è avvenuto, si è realizzato senza distinzione di età, sesso, razza, lingua, religione, opinione politica e condizioni economiche e culturali, personali e sociali, come avrebbe successivamente sancito l’art. 3, al primo comma, della vigente Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948.

Un dato impressionante e indicativo non può essere sottaciuto, merita anzi di essere decisamente evidenziato: nei sette-otto mesi del periodo storico investigato, in ciascuno dei due comuni oggetto della ricerca, il numero dei morti per causa di guerra non ha superato quello delle dita di una mano.

Un tanto sparuto e statisticamente insignificante numero di persone decedute per eventi bellici, un così alto numero di sfollati accolti e accuditi, tanto più significativo se posto in relazione al numero degli abitanti abitualmente residenti (3-7 mila e 25-30 mila) sono gli assi portanti delle motivazioni per cui i gonfaloni dei Comuni di Norma e di Pontinia debbono essere insigniti della Medaglia d’Oro al Merito Civile.

La concessione di tale meritata onorificenza raddrizzerebbe almeno le due seguenti storture:

  1. sanerebbe una inconcepibile ingiustizia, grazie alla quale soltanto 14 dei 33 Comuni ricompresi nella circoscrizione territoriale della provincia di Latina hanno già avuto una onorificenza al Merito e/o al Valore Civile e la stessa Amministrazione Provinciale è stata insignita della Medaglia d’Oro al Merito Civile (si veda, in proposito, il volume Parole, Simboli e Segni della Memoria, edito dall’Amministrazione Provinciale di Latina nel 2014);
  2. invertirebbe una tendenza consolidata e capovolgerebbe una prassi, non assolutamente condivisibili e abbisognevoli di una radicale rivisitazione, in forza delle quali si vuole che riconoscimenti e onorificenze vengano conferiti in proporzione al numero dei morti e delle distruzioni, non già per gli sforzi compiuti perché morti e distruzioni non ci fossero o fossero sensibilmente contenuti come è appunto il caso di Norma e di Pontinia, due paesi vittime di un ambiguo disinteressamento e di una incomprensibile indifferenza da parte di vecchi e nuovi amministratori comunali, i quali, benché puntualmente e tempestivamente informati dei risultati delle ricerche condotte anche negli ultimi tempi e delle scoperte di avvenimenti quasi sconosciuti o del tutto inediti, si ostinano a non avviare la pratica, che pure non ha oneri economici per il conferimento a Norma e a Pontinia della meritata Medaglia d’Oro al Merito Civile.

Per le considerazioni sopra esposte, rivolgiamo ai Sindaci di Norma e Pontinia un appello affinché le due amministrazioni si rendano disponibili a riprendere fattivamente le attività a suo tempo avviate e sviluppate.

 

Giuseppe Filippi

Presidente Associazione Culturale “I Ciclopi” Norma

Lettera al Direttore de La Repubblica del 1 gennaio 2017

Egregio Direttore,

leggendo i titoli del servizio sul “Viaggio al termine della democrazia”, si coglie un immediato senso di rinuncia a credere che la democrazia possa sopravvivere.

Vi è una sorta di rassegnazione all’ineludibilità che la democrazia possa continuare ad essere l’orizzonte di riferimento per il mondo occidentale e sviluppato.

Anche se all’intermo del servizio vi sono sprazzi, molto sintetici per la verità, di posizioni che sostengono una posizione contraria, il filo conduttore resta quello della fine della democrazia liberale, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.

 

Le analisi che vengono svolte dai vari sociologi e politologi intervistati sono note da tempo e in qualche modo fotografano l’esistente. Ma da sole non bastano. Non ci aiutano a capire cosa possiamo fare per difendere la nostra democrazia e soprattutto sapere cosa dobbiamo fare per farla continuare a vivere. Il semplice cahier de doleance non aiuta.

Occorre riprendere in mano il filo del ragionamento e dell’azione. Un compito questo che l’Espresso in tanti anni ha sempre avuto come suo tratto costitutivo e distintivo.

 

Ad esempio quando si accenna al mancato recupero del rapporto fiduciario tra i cittadini elettori e i politici/governanti, si manifesta in tutta la sua forza, quasi definitivamente, l’idea che può interessarsi alla politica o essere politico e magari leader di un progetto, o iniziativa politica, solo un cittadino che viene eletto nelle assemblee. E’ morta l’idea del cittadino che si interessa di politica, che si impegna, indipendentemente dal fatto che vada a gestire una posizione di potere. Questo è il segnale chiaro, che la modificazione della politica è stata catartica, devastante! Ha cancellato totalmente il senso civico dell’impegno sociale, del senso dello Stato e di appartenenza alla propria collettività.

Tutto ciò è drammatico, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: dal Governo nazionale a quello della Capitale, è un fallimento dietro l’altro, per motivi diversi , ma sempre di fallimenti si tratta. Tutti imbevuti di un nuovo populismo, così ben descritto nel servizio.

In ogni angolo del mondo i nuovi populisti, come sempre è avvenuto nella storia, fanno leva sulle paure della gente, annebbiando qualsiasi forma di ragionamento. In questo sono stati aiutati dalle cosiddette elite, dai tecnocrati, dai poteri della finanza e dei mercati, dalla logica della globalizzazione, che allontana sempre più l’individuo dal suo noto, dal suo mondo misurabile e dominabile”.

Vi è stato un progressivo svuotamento della memoria degli individui. La società è stata veicolata verso un nuovo mondo i cui esiti sono fuori dalla portata degli individui rendendoli impotenti e quindi attanagliati dalla insicurezza e dal rifiuto verso ciò che non riescono a capire, a governare.

 

La società, e il nostro Paese in particolare, hanno bisogno di ritrovare le modalità, gli strumenti e i luoghi ove poter tornare a fare politica, a partecipare in modo nuovo alla gestione del bene pubblico. I cittadini hanno il diritto di poter tornare a sognare un po’ della propria felicità, che può essere data loro dalla politica.

 

Roma, 1 gennaio 2017

Giuseppe Filippi

A proposito di tutela dell’ambiente Intervista a Giuseppe Filippi

Intervista a Giuseppe Filippi

pinoGiuseppe Filippi, nato a Norma (Lt) nel 1956, laureato in Giurisprudenza, dirigente d’azienda, revisore legale, è presidente dal 2012 dell’Associazione Culturale I Ciclopi  che ha sede a Norma e a Roma.

L’Associazione in questi anni, tra le altre iniziative, ha curato i seguenti progetti:

una mostra documentale dello sbarco americano ad Anzio del 22.01.1942 – Norma città solidale, realizzato con il contributo del Comune di Norma e della Provincia di Latina;  una mostra di pittura estemporanea Premio Giovanni Filippi, realizzata con il contributo del Comune di Norma e il Patrocino del Consiglio Regionale del Lazio; un piano di sostegno ai disabili e dotazione di un pulmino al Comune di Norma per il trasporto dei disabili, mediante il contributo della Fondazione G. B. Baroni di Roma; uno studio per una rimodellazione della Piazza del Comune, trasferendovi il Monumento a tutti i caduti (Curato da Enrico Filippi); un progetto sulla rievocazione della memoria per i fatti della  seconda guerra mondiale che hanno viste coinvolte le popolazioni pontine e Lepine in particolare. L’iniziativa ha coinvolto le scuole medie ed elementari di Norma, Sermoneta, Bassiano, Cisterna, Cori e Giulianello;

Giuseppe Filippi attualmente è Direttore dell’Area Patrimonio della società, della Regione Lazio, Astral spa, incaricata della manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade del Lazio. In passato ha ricoperto i seguenti incarichi: Segretario Provinciale dei giovani socialisti (FIGS) nel periodo 1973-1975; Vice Sindaco al Comune di Norma (LT) dal 1980 al 1985; Presidente provinciale della Confesercenti di Latina dal 1982 al 1985; Dirigente Nazionale della Fiesa – Confesercenti (Associazione di imprese commerciali del settore alimentare) dal 1980 al 1985; Dirigente Nazionale dell’Assoturismo–Confesercenti (Associazione di imprese nel settore turistico)  dal 1978 al 1980; Dirigente e fondatore di cooperative fra dettaglianti aderenti al Conad (Lega delle cooperative) dal 1977 al 1980; Segretario provinciale del PSI dal 1994 al 2002 e componente del Consiglio Nazionale.

 

Quando è nata l’Associazione culturale “I Ciclopi”, e con quale obiettivo?

L’Associazione è nata il 1° gennaio del 2012 con l’obiettivo di promuovere iniziative in ambito culturale da sviluppare nel territorio pontino, al fine di sviluppare i saperi, tenere viva la cultura storica attraverso i segni della memoria.

 

Per il futuro con quali progetti l’Associazione intende agire per migliorare il nostro territorio?

Come dicevo, il nostro obiettivo è quello di mantenere vivi gli insegnamenti e i moniti che la storia ci ha consegnato. Lo facciamo attraverso un rapporto continuo con le scuole e i Comuni. Per l’anno in corso intendiamo promuovere due iniziative, una per la celebrazione dei 300 anni della venerazione della Madonna del Rifugio a Norma e un’altra per la ricorrenza dei 350 anni della nascita del Beato Padre Baldinucci, gesuita e figura particolarmente venerata nei luoghi della nostra regione che lo hanno visto presente con le sue missioni. Nel contempo intendiamo andare avanti con nuove iniziative, che si aggiungono a quelle già realizzate, con alcune scuole del territorio, per ricordare gli eventi storici che hanno segnato in modo particolare il nostro territorio durante la seconda guerra mondiale.

 

Quali proposte operative sono state finora avanzate dall’Associazione per tutelare e dare impulso alle vocazioni naturali del nostro territorio?

In particolare, intendiamo rilanciare con maggior forza gli incontri con alcuni Comuni della fascia Lepina al fine di promuovere la creazione di un Consorzio Forestale. Si tratta di un’iniziativa che vuole sollecitare la sensibilità delle istituzioni locali e dei cittadini verso un maggior rispetto per la tutela e la valorizzazione ambientale.

E’ un progetto ambizioso che richiede prima di tutto la presa di coscienza delle potenzialità che ha il nostro territorio, ma anche, della sua fragilità di fronte alle asperità della natura e alla dissennatezza degli uomini.

 

Quali sono stati finora i punti di forza e di debolezza dell’Associazione? Per l’immediato futuro come rafforzare i primi ed eliminare i secondi?

I punti di forza sono stati la straordinaria partecipazione, di cittadini, studenti e insegnanti, che hanno incontrato i nostri progetti realizzati sino ad oggi. I punti di debolezza sono: A) l’allargamento della base associativa (abbiamo bisogno di un numero maggiore di soci che volontariamente offrano il loro impegno) e B) il reperimento delle necessarie risorse finanziarie che occorrono per portare avanti le iniziative.

 

Cosa dovrebbero fare i Comuni, le Comunità Montane, la Regione per incidere sullo sviluppo del territorio?

Il tema dello sviluppo è una materia assai complessa e in realtà non esistono ricette astratte o miracolistiche che possono essere elaborate a tavolino. Lo sviluppo è un argomento che coinvolge inevitabilmente tutte le componenti della società, sia economiche che politiche, sia sociali che culturali. E’ un processo corale, infatti, è molto raro che si generi uno sviluppo equilibrato e duraturo in assenza di un coordinamento delle componenti alle quali ho accennato.

Negli anni passati abbiamo assistito ad un ruolo dei Comuni e delle Comunità Montane eccessivamente invasivo della realtà economica. Si sono trasformati spesso in soggetti imprenditoriali operanti nei settori più diversi. I guai di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti: abbiamo visto società pubbliche, o miste pubbliche-private, che hanno accumulato enormi perdite, altre ancora che sono fallite. Sono state realizzate strutture, costate milioni e milioni di euro ai cittadini, che oggi sono abbandonate o che sono state di fatto regalate a privati pur di tenerle in vita. Sono state costituite altre società che, ancora oggi, continuano a borseggiare i cittadini,  basta guardare ai servizi come l’acqua, affidata ai privati, oppure lo smaltimento dei rifiuti affidato a soggetti troppo disinvolti.

Purtroppo, tutto questo è stato possibile grazie al fatto che spesso la Regione ha erogato soldi a pioggia e i Comuni, anche se non servivano, hanno realizzato opere inutili solo perché la Regione le finanziava. Hanno realizzato ponti piuttosto che Chiese, quando magari servivano fogne nuove o interventi a tutela delle frane o più banalmente serviva fare della manutenzione ordinaria a strade dissestate.

In sintesi, i Comuni e quello che resta delle Comunità Montane, si debbono trasformare in incubatori di idee, vettori di iniziative formative e informative in favore dei cittadini. Debbono favorire lo scambio di esperienze con altre realtà, sia nazionali che estere. Debbono creare una visione del futuro e dare speranza, merce oggi piuttosto rara nella nostra società, un bene essenziale del quale invece il Paese ha un grande bisogno. Per il resto, gli enti locali debbono assicurare servizi efficienti, essere prima di tutto trasparenti nella gestione. Il resto lo debbono fare i cittadini, la scuola, le associazioni operanti sul territorio e le imprese.

 

A livello di informazione e di formazione cosa potrebbe essere utile perché l’Associazione sia più attiva e coinvolgente soprattutto per i giovani? 

La cosa più utile che si può fare è aprire le porte delle Scuole, delle Associazioni, dei Comuni, quelle dei singoli cittadini, affinché si crei una piazza fisica, vera e non virtuale, dove la gente torni ad incontrarsi, dove possa riscoprire il piacere di trovarsi l’uno davanti all’altro e confrontarsi con passione e non stare su Facebook o comunicare con gli sms, ecc, ecc.

Dobbiamo riscoprire il contatto umano diretto, dobbiamo fuggire da questo isolamento esistenziale che hanno prodotto i nuovi strumenti della comunicazione moderna. Dobbiamo rimettere l’essere umano al centro degli interessi della collettività e ridare senso alle nostre esistenze. Va da se che in tutto ciò il centro del processo sono i giovani. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che andiamo verso una società dove si vive più a lungo e il “patrimonio” delle esperienze dei meno giovani non va disperso, anzi va messo, senza riserve, proprio al servizio dei giovani e della società.

 

Con quali esperti l’Associazione intendere allacciare rapporti di collaborazione?

Con il mondo dell’Università e della Scuola in generale, con intellettuali, con operatori sociali e imprenditori più attenti ai temi di uno sviluppo al servizio dell’Uomo.

 

Che cosa è questo Nuovo Consorzio Forestale, quali finalità si prefigge di raggiungere?

Sinteticamente, i Consorzi Forestali perseguo principalmente i seguenti obiettivi:

  • Sensibilizzazione territoriale sui temi ambientali;
  • Aggregazione di Comuni, di cittadini e imprese, per la tutela e la gestione dei territori agro-forestali, soprattutto per la prevenzione del degrado idrogeologico e la lotta agli incendi;
  • Salvaguardia e sviluppo delle varietà silvo-pastorali autoctone;
  • Incentivazione dello sviluppo e dello sfruttamento del bosco e dei prodotti del sottobosco;
  • Valorizzazione dell’habitat naturale

 

Quali compiti, funzioni e attività  dovrebbe avere e svolgere questo Nuovo Consorzio Forestale?

Dovrebbe aggregare Comuni, Comunità Montane, imprese agricole e cittadini, organizzandoli stabilmente al fine di pianificare le attività proprie del Consorzio.

 

In sintesi che cosa è questo Progetto Foresta Appenninica?

La filosofia che ispira il progetto è quella di trasformare l’idea che sovente abbiamo dei nostri boschi: luoghi statici, che quando va bene, li teniamo isolati e abbandonati, senza che ci sia alcun reale scambio con il contesto circostante vissuto dai cittadini. Il progetto vuole invece trasformare il bosco e la foresta appenninica in un soggetto vivo, che produce reddito. Ovviamente, il motore di tale iniziativa sono i Consorzi Forestali già operativi e quelli che, speriamo tanti, nasceranno per gestire in modo organico e oculato il territorio montano e forestale.

 

 a cura di Antonio Polselli