Lettera al Direttore de La Repubblica del 1 gennaio 2017

Egregio Direttore,

leggendo i titoli del servizio sul “Viaggio al termine della democrazia”, si coglie un immediato senso di rinuncia a credere che la democrazia possa sopravvivere.

Vi è una sorta di rassegnazione all’ineludibilità che la democrazia possa continuare ad essere l’orizzonte di riferimento per il mondo occidentale e sviluppato.

Anche se all’intermo del servizio vi sono sprazzi, molto sintetici per la verità, di posizioni che sostengono una posizione contraria, il filo conduttore resta quello della fine della democrazia liberale, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.

 

Le analisi che vengono svolte dai vari sociologi e politologi intervistati sono note da tempo e in qualche modo fotografano l’esistente. Ma da sole non bastano. Non ci aiutano a capire cosa possiamo fare per difendere la nostra democrazia e soprattutto sapere cosa dobbiamo fare per farla continuare a vivere. Il semplice cahier de doleance non aiuta.

Occorre riprendere in mano il filo del ragionamento e dell’azione. Un compito questo che l’Espresso in tanti anni ha sempre avuto come suo tratto costitutivo e distintivo.

 

Ad esempio quando si accenna al mancato recupero del rapporto fiduciario tra i cittadini elettori e i politici/governanti, si manifesta in tutta la sua forza, quasi definitivamente, l’idea che può interessarsi alla politica o essere politico e magari leader di un progetto, o iniziativa politica, solo un cittadino che viene eletto nelle assemblee. E’ morta l’idea del cittadino che si interessa di politica, che si impegna, indipendentemente dal fatto che vada a gestire una posizione di potere. Questo è il segnale chiaro, che la modificazione della politica è stata catartica, devastante! Ha cancellato totalmente il senso civico dell’impegno sociale, del senso dello Stato e di appartenenza alla propria collettività.

Tutto ciò è drammatico, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: dal Governo nazionale a quello della Capitale, è un fallimento dietro l’altro, per motivi diversi , ma sempre di fallimenti si tratta. Tutti imbevuti di un nuovo populismo, così ben descritto nel servizio.

In ogni angolo del mondo i nuovi populisti, come sempre è avvenuto nella storia, fanno leva sulle paure della gente, annebbiando qualsiasi forma di ragionamento. In questo sono stati aiutati dalle cosiddette elite, dai tecnocrati, dai poteri della finanza e dei mercati, dalla logica della globalizzazione, che allontana sempre più l’individuo dal suo noto, dal suo mondo misurabile e dominabile”.

Vi è stato un progressivo svuotamento della memoria degli individui. La società è stata veicolata verso un nuovo mondo i cui esiti sono fuori dalla portata degli individui rendendoli impotenti e quindi attanagliati dalla insicurezza e dal rifiuto verso ciò che non riescono a capire, a governare.

 

La società, e il nostro Paese in particolare, hanno bisogno di ritrovare le modalità, gli strumenti e i luoghi ove poter tornare a fare politica, a partecipare in modo nuovo alla gestione del bene pubblico. I cittadini hanno il diritto di poter tornare a sognare un po’ della propria felicità, che può essere data loro dalla politica.

 

Roma, 1 gennaio 2017

Giuseppe Filippi