I Corsivi di Giuseppe Filippi

E DOPO IL LOCKDOWN CHE SUCCEDERA’

(Articolo pubblicato sulla rivista Nuova Informazione di settembre 2020)

La mia generazione e, forse, anche quella prima di me non avevano mai visto un mostro terribile come il Covid 19.

Certamente mette paura, non solo per il numero elevatissimo delle vittime che ha già causato, ma soprattutto per il senso di impotenza che ingenera in tutti noi, per le condizioni sanitarie e psicologiche in cui ha ridotto il mondo intero nel giro di qualche mese.

Di fronte a questa pandemia, per la prima volta, tutti i paesi del mondo, in contemporanea, hanno dovuto approntare piani di emergenza sanitaria e lanciare azioni di sostegno finanziario all’economia per fronteggiare la crisi con una quantità di risorse che non si vedevano da dopo la seconda guerra mondiale.

La pandemia ha costretto le persone a casa e tutte le attività, soprattutto quelle maggiormente esposte alla diffusione dei contagi, sono state chiuse o ridotte al minimo delle loro possibilità operative. Tutto questo hanno modificato le nostre abitudini di vita quotidiana, familiare, sociale e lavorative.

Le città e i paesi avevano assunto un’aria spesso spettrale, vuote, senza persone né macchine che camminassero per le strade. Improvvisamente ci siamo ritrovati isolati gli uni dagli altri, anche dai nostri stessi congiunti per paura o per precauzione. Il graduale allentamento delle restrizioni che ci sono state in Italia, in vista dell’estate e quindi di ferie e vacanze, ha ridato alle persone una speranza che tutto questo possa essere superato. In questo momento però la grande prova è quella della riapertura delle scuole. Tutti sperano che questa non riaccenda il propagarsi del virus, speriamo bene!

In questo periodo abbiamo dovuto prendere dimestichezza con le parole “lockdown” e “smart working”. Quella che ha caratterizzato in modo nuovo la nostra vita è stata certamente la parola smart working che, tradotta letteralmente, significa “lavoro intelligente”. In realtà sta a significare il lavoro da casa che hanno potuto svolgere soprattutto le figure amministrative e tecniche, che non hanno bisogno necessariamente di essere presenti fisicamente sul posto di lavoro. Oggi i processi lavorativi si eseguono sempre più su sistemi informatici e veicolati, scambiati, rielaborati su piattaforme digitali. Tutto ciò ha consentito alle persone, dotate di un pc e di un collegamento internet, di lavorare da casa. Ciò ha desertificato le strade, svuotato bus, metropolitane e treni. Abbiamo così scoperto che si potrebbe realizzare un sogno: finalmente poter lavorare da casa, senza dovere ogni mattina svegliarsi all’alba per andare in macchina o in treno o con il bus a lavorare in località lontane dalla nostra residenza a 1 o 2 ore di viaggio. Abbiamo finalmente riscoperto che l’inquinamento da circolazione di mezzi di trasporto era finalmente diminuito. Abbiamo visto come milioni di italiani possono lavorare da casa risparmiando così, mensilmente, anche cifre importanti.

Se ci pensiamo bene questo cambiamento imprevisto, ci ha fatto rivedere un graduale ripopolamento, quotidiano, soprattutto dei piccoli centri. Ma la cosa più straordinaria sarebbe la situazione che si potrebbe determinare con l’incentivo dello smart working. Ci sarebbero milioni di persone che lavorerebbero da casa, che inquinerebbero di meno, che si stresserebbero di meno; ci sarebbe una rivalutazione dei centri minori. Le persone finalmente potrebbero tornare dalle città ai loro paesi d’origine, dove potrebbero godere di una vita più a misura di uomo, con un ambiente più sano, aria pulita e relazioni umane più dirette e sincere.

I piccoli centri dovrebbero approfittare di questa congiuntura e trasformarsi in tante cittadelle digitali all’avanguardia, offrendo servizi alle famiglie e spazi attrezzati ai giovani che si vogliono cimentare in una nuova iniziativa di lavoro sia nell’ambito digitale che nei mestieri della tradizione. Insomma, si dovrebbe cogliere spunto da questa crisi per sfruttarne le aperture che pure potrebbe offrire a chi non vuole restare con le mani in mano ad aspettare che lo sviluppo venga sempre organizzato e dispensato dal centro del potere politico ed economico.

Avviare un processo in questa direzione, significherebbe anche recuperare e riqualificare il patrimonio abitativo dei piccoli comuni, troppo spesso abbandonato. Significherebbe arginare l’emorragia dai piccoli centri verso le città, significherebbe ridare vita ai nostri borghi, bellissimi e pieni di storia. Significherebbe ridare slancio economico alle zone più arretrate del paese; significherebbe recuperare tradizioni in campo agricolo ed artigianale, riscoprire produzioni naturali e più ecosostenibili, oggi tanto richieste, soprattutto dalle nuove generazioni, più attente all’ambiente e alla qualità della vita. Per non parlare poi della possibilità di rilanciare in modo più deciso la produzione di energia elettrica mediante l’istallazione dei pannelli fotovoltaici sui tanti tetti disponibili nei piccoli centri. Se tutto questo si facesse, ciò potrebbe favorire finalmente in modo decisivo l’uso delle auto elettriche. 

Insomma, potremmo fare, senza accorgercene, e con un minimo di investimenti, una piccola rivoluzione dai risvolti sociali, economici e ambientali importanti e apprezzabili. Direi quasi un piccolo miracolo!

Giuseppe Filippi

(giuseppe.filippi.rm@gmail.com)

Carpineto Romano: Un vicolo del centro storico

Covid 19: un’immagine

Sezze: Rappresentazione della passione di Cristo

Bassiano: Il borgo medievale di notte

Norma: La scuola elementare

Norma: Vista sul lago di Ninfa

16.07.2019

QUANDO IL POPOLO VUOLE “RISPOSTE SEMPLICI A PROBLEMI COMPLESSI”

Con la vulgata della comunicazione debordante, attraverso ogni mezzo, TV, Internet, Facebook, Instagram e via elencando, non c’è più speranza di tornare a ragionare con pacatezza e senno.

Ormai tutti impazziscono per le battute ad effetto, per la ripresa o un selfie mentre i nostri politici sono al bar a prendere un caffè o al ristorante con gli amici.

Quello che conta non è ciò che si dice ma come lo si dice. Tutti si sentono dei grandi condottieri, dei guru che sanno come guarire questo Paese. L’importante è ribattere battuta su battuta a quello che dicono gli avversari politici o gli alleati di governo che non si vogliono piegare alle promesse fatte agli elettori da uno dei due alleati.

E’ chiaro: ormai non serve più riflettere prima di dare una risposta. Agli elettori vanno date risposte all’istante, anche se si tratta di annunciare che riusciranno a scomporre l’atomo oppure organizzare viaggi turistici gratuiti sulla luna. E giornali e televisioni, supinamente provvedono ad amplificare il fenomeno.

C’è da chiedersi dove ci porterà questa tendenza. Il teatro della politica sembra diventato un telequiz!

Resta certa una cosa: l’esperienza e il buonsenso dovrebbero indurre a un maggior senso di responsabilità. Al tempo stesso, una classe politica all’altezza del compito, dovrebbe agire sapendo che vulgate populiste e semplificatorie inevitabilmente portano allo sfascio.

Ma qui l’unica cosa che sembra stare a cuore a questi leader politici, che sembrano una concentrazione micidiale di sedicenti primi della classe e viziati bamboccioni, è: “Dopo di me il diluvio”! (après moi le déluge!)… Con buona pace per le sorti dei cittadini.

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Due ricorrenze dimenticate

L’introduzione delle Leggi razziali (1938) da parte del regime fascista e l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Era 6 ottobre del 1938 e il Gran Consiglio del regime fascista aggiunse alla già lunga serie di nefandezze anche “La Dichiarazione della razza”, chiaramente rivolta contro gli ebrei. Tale foga trovava la sua ragion d’essere nell’allineamento della politica italiana di Mussolini a quella tedesca di Hitler.

Dall’Enciclopedia Treccani on-line possiamo leggere: “Tale politica era partita già nel 1937 dalle colonie, dove si vietarono e sanzionarono con la reclusione i matrimoni tra gli italiani e i sudditi della cosiddetta Africa Orientale Italiana (AOI; i possedimenti italiani nel Corno d’Africa), con conseguenti interventi di “integrazione familiare” mediante trasferimento in loco di “sane, resistenti e laboriose” donne italiane, ma era poi stata ben presto estesa al suolo nazionale. Nel luglio del 1938 infatti era stato pubblicato il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, in cui si sostenevano la concezione biologica del razzismo, l’esistenza di una pura razza italiana e la non assimilabilità degli Ebrei, che costituivano una razza non europea; e nel settembre dello stesso anno erano stati emanati i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, con cui si sospendevano dal servizio i docenti ebrei di scuole e università, si escludevano gli alunni ebrei dalle scuole e s’impedivano le iscrizioni di nuovi studenti ebrei alle università, nonché i Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri, con cui venivano espulsi gli Ebrei presenti sul territorio italiano da una data successiva al 1° gennaio 1919. Con la Dichiarazione della razza, infine, venivano tra l’altro vietati i matrimoni di italiani con appartenenti alle razze camita, semita o comunque non ariana e disposti ulteriori limiti alle attività professionali degli Ebrei e alla loro partecipazione alla vita pubblica (divieto di iscrizione al Partito nazionale fascista, esonero dal servizio militare in pace e in guerra ecc.). Tale serie di provvedimenti razzisti veniva tra l’altro giustificata dalla crescente immigrazione di Ebrei nel Paese, dapprima nel 1919 in fuga dall’Europa orientale, e poi dal 1933 dalla Germania nazista e infine dall’Austria dopo l’Anschluss (L’annessione dell’Austria alla Germania) del 1938. Inoltre, così si legge in una voce enciclopedica dell’epoca, in cui venivano esplicati i principali passaggi che avevano condotto a quelle leggi ed esposte le nuove norme: «Le immigrazioni di Ebrei stranieri, fatto nuovo per l’Italia, dovevano necessariamente creare uno stato di disagio economico e sociale in Italia, dove esse portavano un improvviso e pesante elemento nuovo di concorrenza […]. Ma il disagio era sopra tutto spirituale, ossia nazionale. I nuovi immigrati non rivelavano alcuna volontà e capacità di fondersi e armonizzarsi, nello spirito e nell’essenza della vita nazionale e politica, con gl’Italiani». I cittadini ebrei, in realtà allora perfettamente integrati, erano nella percentuale molto bassa di circa lo 0,1% – da cui il titolo del bel libro di Alexander Stille Uno su mille (1991) – e molti di loro avevano peraltro aderito al fascismo.”

L’insediamento degli ebrei in Italia risale al 30 D.C. ben prima del papato. A Roma, in quel tempo, ce n’erano presenti oltre 40.000.

Con l’introduzione delle leggi razziali, in Italia e in altri paesi, riprese vigore anche la persecuzione agli appartenenti alla Massoneria, sebbene la legge contro i Massoni fosse stata approvata nel 1923; con tale legge venivano, tra le altre cose, decretati i licenziamenti di tutti i funzionari pubblici a questa appartenenti.

L’accostamento degli Ebrei alla Massoneria trovava la sua esplicazione plastica nel cosiddetto “complotto pluto-giudaico-massonico”, tanto caro al fascismo e a Giovanni Preziosi il quale, dalle colonne della sua rivista “La Vita Italiana”, aveva condotto un sistematico abbinamento tra il “giudaismo” e la “massoneria universale”, in particolare il legame di quest’ultima con la finanza internazionale ebraica. (le famiglie Rothshild, Rockfeller, Goldman e Sachs, Lehmann, Warburg, ecc, ecc).

Per chi volesse approfondire le farneticazioni contenute ne “La Dichiarazione della razza”, suggerisco di leggere il libro “Educare all’odio: La difesa della razza” di Valentina Pisanty, edito dal Gruppo Editoriale GEDI, anno 2018.

Le domande che ci poniamo ancora oggi sono: Perché l’uomo ha sempre bisogno di crearsi dei nemici da combattere? Perché deve sempre cercare di giustificare le proprie violenze con l’esistenza di altri uomini da annientare, perché ritenuti inferiori? Perché tutti i regimi hanno sempre bisogno di avere un nemico da sconfiggere? Verrebbe da dire “homo homini lupus,” concetto già anticipato da Plauto (II^ secolo a.C.) e successivamente ripreso e sviluppato da Erasmo da Rotterdam, Francesco Bacone, fino ad arrivare a Thomas Hobbes per tentare di capire come e perché la natura umana può arrivare a tali folli aberrazioni.

Tuttavia, di fronte a tali provvedimenti si impone la necessità di porsi, ancora oggi, un’infinità di altre domande, non solo di carattere storico o politico, ma anche di carattere antropologico, filosofico e di psicologia delle masse. Occorre sempre avere ben presente che le follie collettive e le esasperazioni, come ad esempio la xenofobia, solitamente sono una presenza costante in tutti i regimi autoritari, come quelli fascisti, nazisti, del Franchismo in Spagna e così via.

Il senno degli uomini e delle società trovò però finalmente un momento di grandezza quando Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”. Con questo atto solenne, dell’Assemblea delle Nazioni Unite, il testo venne diffuso in tutto il mondo e gli Stati che ne facevano parte, si impegnarono a rispettarne e a diffonderne i contenuti oltreché a farli rispettare a chi ancora non li avesse fatti propri.

Per comprenderne la straordinaria portata dei valori in essa contenuti, non occorre alcun commento o aggiunta a quanto già scritto nel preambolo della Dichiarazione di seguito riportato:

“Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;”

Principi ai quali ancora oggi le società e i Governi debbono dare piena attuazione. “Deus nos avertat”

11/1/2019 Il Sole 24 Ore
https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&issue=20171122&edizione=SOLE&startpage=1&displayp… 1/1

COMMENTI E INCHIESTE 22 NOVEMBRE 2017 Il Sole 24 Ore Le virtù dell’economia avranno la meglio sui vizi della politica Egregio Dottor Galimberti, il Paese è frastornato. Nuova legge elettorale, alleanze politiche che si decompongono, partiti di destra che si rafforzano. Renzi che si trova in affanno e Berlusconi che risorge, anche grazie al voto siciliano. Come dovrebbero reagire i cittadini di fronte a tutto questo? Le possibilità sono molteplici, ma quelle più probabili sono tre: 1) gli italiani abbandonano Renzi per il rinato Berlusconi; 2) non scelgono né l’uno né l’altro, e votano Di Maio; 3) non scelgono nessuna delle due alternative e si rifugiano nell’astensionismo, Sicilia docet! La prima considerazione che occorre fare è che gli italiani sono stanchi e non capiscono più tutti i tatticismi dei partiti. Non riescono più a capire questo cambio continuo e scellerato di leggi elettorali che si susseguono, ben sapendo che nessuna, di quelle approvate negli ultimi anni, è mai riuscita a dare un vincitore certo alle elezioni, e quindi, penseranno: perché tanta fatica per niente? Del resto, a questa stanchezza dei cittadini verso la politica, è seguito l’incremento esponenziale, e non solo in Italia, dei partiti di destra e xenofobi. Era prevedibile, così come non è difficile pensare che un tale scenario politico determinerà situazioni di pericolo per la vita democratica, in Italia e in Europa. La seconda considerazione è: perché questa classe politica non riesce a recuperare un ruolo di credibilità e di fiducia nel rapporto con i cittadini? La risposta probabilmente sta nel fatto che con la morte della democrazia così come l’avevano concepita i nostri padri costituenti, mutuandola dal modello liberale, non si riesce più a far rinascere un rapporto virtuoso tra i cittadini e la politica, e per essa, con lo Stato, il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Il rapporto tra Stato e cittadini: quello che oggi e rimasto è debole e spesso troppo vessatorio nei confronti dei secondi. Manca il senso identitario nel proprio Paese, nelle sue istituzioni. A questa situazione ha contribuito in modo decisivo il dilagare del credo nella globalizzazione, che ha travolto sistemi economici, sociali, partiti tradizionali e sistemi di alleanze internazionali. La globalizzazione ha sostenuto fortemente la nascita di partiti leggeri, ridotti a comitati elettorali. Ha favorito il modello di partiti alla cui guida vengono messi leader senza storia, uomini immagine, con la patente della novità e della giovanilità, da usare all’abbisogna, neanche fossero dei fotomodelli da utilizzare per il lancio di un capo di abbigliamento. Non hanno alcuna idea del modello sociale da proporre ai cittadini né tantomeno lo discutono con loro, tanto bastano le comparsate in Tv. Ormai la politica si celebra nei salotti televisivi; la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione dei progetti politici non conta più nulla. E allora la domanda da farsi è: può una democrazia così stanca e azzoppata rinascere? Può questa classe politica, che non ha alcun senso della storia, assumere un ruolo così impegnativo? In alternativa, che altre possibilità abbiamo a disposizione? Ricominciare ad affrontare i problemi uno a uno, con buon senso e pragmatismo nelle soluzioni? Si ha la coscienza che per affrontare i problemi del Paese, occorre tener conto dei milioni di italiani che arrivano a fatica a fine mese, mentre ce ne sono ancora troppi che navigano tra privilegi, pensioni e stipendi non meritati? Che il sommerso ancora dilaga e troppi guadagni illeciti vengono portati allegramente nei paradisi fiscali? La soluzione sta nella consapevolezza della classe politica, ma soprattutto, in quella dei cittadini e della classe dirigente che quotidianamente opera, sia nel pubblico che nel privato. Perdere ulteriormente tempo significa consegnare il paese al qualunquismo e all’astensionismo elettorale. Giuseppe Filippi Caro Filippi, non posso che concordare con la sua analisi. Solo temo che la soluzione dei problemi, prospettata nelle sue ultime righe, prenderà tempo: si tratta di cambiare pelle e mentalità, cosa che non si fa dall’oggi al domani. Non sono un politologo né un sociologo, ma un economista, ed è nell’attività economica che trovo invece qualche conforto ai mali che lei elenca. I nostri problemi vengono in gran parte da tre lustri di debolezza dell’economia, che ci hanno accasciato, ma hanno anche generato degli anticorpi. C’è una sorprendente discrasia fra i vizi della politica e le virtù dell’economia. La ripresa in corso in Italia e in Europa è più vitale di quanto si pensi e varrà ad alleggerire la zavorra di una politica malata. fgalimberti@yahoo.com

TANTO RUMORE… SOLO CONFUSIONE

(Bozza in corso di pubblicazione su mensile Nuova Informazione)

Il Governo 5 Stelle-Lega ha preso il via da alcuni mesi, dopo tante indecisioni e proclami sul cosiddetto “Contratto di governo”.

Appena annunciata, questa inedita e bizzarra formula, ha suscitato immediatamente riserve, sia rispetto alla prassi governativa che a quella istituzionale.

Alla fine tutti i commentatori l’hanno presa come una “boutade” dovuta alla furia del cambiamento “rivoluzionario” dei 5 Stelle.

Al di la delle formule lessicali, i punti del “Contratto” sono apparsi da subito incompatibili tra di loro: da un lato maggiori spese a carico del bilancio pubblico (5 Stelle), dall’altro meno tasse, quindi meno entrate (Lega).

Oltre a questi aspetti, che sono in massima parte propagandistici, si è assistito ad uno spettacolo davvero esilarante. Un Presidente del Consiglio di facciata, due Vice Presidenti effettivi, di cui uno (Salvini) il vero dominus del Governo, che non perde occasione di pontificare non solo sulle materie di sua competenza ma anche su quelle degli altri ministri, ivi compreso il Presidente del Consiglio nominale (Conte). Ma la cosa davvero incredibile è quella di un Consiglio dei Ministri dove Di Maio e Salvini di fatto dovrebbero dare indicazioni a ministri come Tria e Savona. Ve la immaginate la scena durante le riunioni? Due giovani politici privi di esperienze di governo, senza alcun curriculum extra-politico che possa far pensare ad una qualsiasi loro competenza in materie così complesse come l’economia, i rapporti con l’Europa e soprattutto le relazioni internazionali, che danno ordini a professori di valore e di lunga esperienza come Savona e Tria. Insomma, un ballettò della vanità scaricato sulle sorti del paese.

Tuttavia, i due giovani, non perdono occasione per parlare a sproposito, per lanciare anatemi contro l’Europa, contro il mercato, contro le banche, fatto salvo il fatto di voler rafforzare le loro frequentazioni con Putin e Orban, per non parlare poi dei tentativi fatti con i cinesi per fargli acquistare il nostro debito in caso di difficoltà ad emettere nuovi titoli del debito pubblico, non considerando i rischi che comporterebbe un’ipotesi di questo genere: di finire nelle fauci del leone asiatico.

Non c’è dubbio che i proclami lanciati contro l’Europa, contro gli immigrati, l’abbassamento delle tasse con la FlatTax, l’abolizione della legge Fornero, la quota 100 per le future pensioni, il reddito di cittadinanza, la cacciata del Gruppo Benetton dalla concessione delle autostrade e così via, hanno creato tanto rumore. Ma cosa e rimasto dopo il rumore? Solo una grande confusione inconcludente.

D’altra parte sul versante delle opposizioni il caos è ancora più grande.

Forza Italia e PD sono avvolti da nebbia densissima ed hanno perso totalmente la bussola. Arrancano senza sapere dove andare. FI tratta qualcosa sulla Rai per tutelare gli interessi di Berlusconi. Il PD sta facendo giorno dopo giorno arachiri….

Ad oggi questo governo ha dato una sola prova certa: di fronte alle scelte economiche vere si è bloccato. Accampa il pretesto che gli uffici dei ministeri non collaborano, anzi che lo boicottano. Non è in grado di fare la benché minima programmazione, non ha una visione del paese. Lancia solo slogan per blandire gli elettori. Se continuerà di questo passo avremo solo guai, non solo con l’Europa, ma questo mi sembra l’aspetto meno grave, soprattutto nelle relazioni con il resto del mondo. Il paese sta diventando inaffidabile agli occhi degli investitori e delle imprese.

Non c’è un’iniziativa utile al rilancio dell’economia che sia ripartita nel paese. 5 Stelle e Lega avevano promesso di ridare slancio alle piccole imprese, ai professionisti, a tutti i piccoli operatori ma non hanno idea di come farlo concretamente. Del resto la stessa cosa, ad esempio, è avvenuta su Roma. Dopo 2 anni la giunta Raggi non è riuscita a fare assolutamente nulla e si badi bene non per mancanza di risorse ma principalmente per assoluta incapacità inadeguatezza. L’una cosa che emerge è l’assenza totale nella gestione delle emergenze. Basta guardare al problema dei rifiuti e del traffico… il nulla più totale.

Ma per ritornare alle tematiche del governo c’è da chiedersi quali misure hanno preso, ad esempio, per la riorganizzazione di un settore tanto delicato come quello delle banche e del risparmio? Quali misure hanno assunto contro l’evasione e l’elusione fiscale?

Cosa intendono fare per il settore del turismo e dei beni culturali? Che misure concrete prenderanno per la ricerca scientifica?

Al di la della promessa del reddito di cittadinanza, cosa faranno concretamente per il sud del paese?

Oltre a respingere i poveri disgraziati che arrivano per mare, come pensano di regolare i rapporti con gli altri paesi che affacciano sul Mediterraneo?

Cosa hanno da dire sui principi posti dalla nostra Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Universali dell’Uomo in tema di accoglienza e di asilo politico?

Ma fare tutte queste domande a due “forze politiche antisistema” è sicuramente inutile.

Perché è inutile? E’ inutile perché il loro obiettivo principale non è quello di governare questo paese con le regole che ci sono, inserito, così come è oggi, nel contesto che la comunità internazionale democratica si è data.

Sanno perfettamente che per attuare il loro progetto debbono far saltare ogni legame con l’Europa e con le Istituzioni internazionali. Dopo di che potranno dire: lo vedete la comunità internazionale ci ha costretti! Vogliono sottomettere la nostra autonomia statuale, vogliono piegarci a regole che non sono state poste dal popolo mediante i propri eletti. Solo dopo potranno procedere con l’attuazione del loro “piano eversivo” che hanno in mente.

Un tale scenario potrebbe anche apparire cervellotico, altamente improbabile, ma non credo che sia così per due motivi.

Il primo motivo è che la Lega non ha mai negato la sua voglia di uscire dall’Unione Europea. Solo ultimamente è stata portata a più miti consigli dai propri Ministri che hanno esperienza e un più alto senso dello stato. Inoltre ha proposto anche di non pagare più la quota di finanziamento della Nato a carico dell’Italia.

Il secondo motivo e che 5 Stelle, tramite il proprio “azionista di riferimento”, la Casaleggio e Associati in persona di Davide Casaleggio, in una recente intervista ha affermato che di fatto, con le nuove tecniche di partecipazione mediante la rete, il Parlamento è divenuto uno strumento inutile che potrebbe anche essere soppresso.

Mi sembra che lo scenario prefigurato sopra non sia così irrealistico. C’è solo da sperare che le forze democratiche si coalizzino e riportino l’attenzione dei cittadini sull’importanza vitale che hanno i valori e i temi di una corretta e consapevole appartenenza dell’Italia tra il novero dei paesi avanzati e civili.

La mia generazione e, forse, anche quella prima di me non avevano mai visto un mostro terribile come il Covid 19.

Certamente mette paura, non solo per il numero elevatissimo delle vittime che ha già causato, ma soprattutto per il senso di impotenza che ingenera in tutti noi, per le condizioni sanitarie e psicologiche in cui ha ridotto il mondo intero nel giro di qualche mese.

Di fronte a questa pandemia, per la prima volta, tutti i paesi del mondo, in contemporanea, hanno dovuto approntare piani di emergenza sanitaria e lanciare azioni di sostegno finanziario all’economia per fronteggiare la crisi con una quantità di risorse che non si vedevano da dopo la seconda guerra mondiale.

La pandemia ha costretto le persone a casa e tutte le attività, soprattutto quelle maggiormente esposte alla diffusione dei contagi, sono state chiuse o ridotte al minimo delle loro possibilità operative. Tutto questo hanno modificato le nostre abitudini di vita quotidiana, familiare, sociale e lavorative.

Le città e i paesi avevano assunto un’aria spesso spettrale, vuote, senza persone né macchine che camminassero per le strade. Improvvisamente ci siamo ritrovati isolati gli uni dagli altri, anche dai nostri stessi congiunti per paura o per precauzione. Il graduale allentamento delle restrizioni che ci sono state in Italia, in vista dell’estate e quindi di ferie e vacanze, ha ridato alle persone una speranza che tutto questo possa essere superato. In questo momento però la grande prova è quella della riapertura delle scuole. Tutti sperano che questa non riaccenda il propagarsi del virus, speriamo bene!

In questo periodo abbiamo dovuto prendere dimestichezza con le parole “lockdown” e “smart working”. Quella che ha caratterizzato in modo nuovo la nostra vita è stata certamente la parola smart working che, tradotta letteralmente, significa “lavoro intelligente”. In realtà sta a significare il lavoro da casa che hanno potuto svolgere soprattutto le figure amministrative e tecniche, che non hanno bisogno necessariamente di essere presenti fisicamente sul posto di lavoro. Oggi i processi lavorativi si eseguono sempre più su sistemi informatici e veicolati, scambiati, rielaborati su piattaforme digitali. Tutto ciò ha consentito alle persone, dotate di un pc e di un collegamento internet, di lavorare da casa. Ciò ha desertificato le strade, svuotato bus, metropolitane e treni. Abbiamo così scoperto che si potrebbe realizzare un sogno: finalmente poter lavorare da casa, senza dovere ogni mattina svegliarsi all’alba per andare in macchina o in treno o con il bus a lavorare in località lontane dalla nostra residenza a 1 o 2 ore di viaggio. Abbiamo finalmente riscoperto che l’inquinamento da circolazione di mezzi di trasporto era finalmente diminuito. Abbiamo visto come milioni di italiani possono lavorare da casa risparmiando così, mensilmente, anche cifre importanti.

Se ci pensiamo bene questo cambiamento imprevisto, ci ha fatto rivedere un graduale ripopolamento, quotidiano, soprattutto dei piccoli centri. Ma la cosa più straordinaria sarebbe la situazione che si potrebbe determinare con l’incentivo dello smart working. Ci sarebbero milioni di persone che lavorerebbero da casa, che inquinerebbero di meno, che si stresserebbero di meno; ci sarebbe una rivalutazione dei centri minori. Le persone finalmente potrebbero tornare dalle città ai loro paesi d’origine, dove potrebbero godere di una vita più a misura di uomo, con un ambiente più sano, aria pulita e relazioni umane più dirette e sincere.

I piccoli centri dovrebbero approfittare di questa congiuntura e trasformarsi in tante cittadelle digitali all’avanguardia, offrendo servizi alle famiglie e spazi attrezzati ai giovani che si vogliono cimentare in una nuova iniziativa di lavoro sia nell’ambito digitale che nei mestieri della tradizione. Insomma, si dovrebbe cogliere spunto da questa crisi per sfruttarne le aperture che pure potrebbe offrire a chi non vuole restare con le mani in mano ad aspettare che lo sviluppo venga sempre organizzato e dispensato dal centro del potere politico ed economico.

Avviare un processo in questa direzione, significherebbe anche recuperare e riqualificare il patrimonio abitativo dei piccoli comuni, troppo spesso abbandonato. Significherebbe arginare l’emorragia dai piccoli centri verso le città, significherebbe ridare vita ai nostri borghi, bellissimi e pieni di storia. Significherebbe ridare slancio economico alle zone più arretrate del paese; significherebbe recuperare tradizioni in campo agricolo ed artigianale, riscoprire produzioni naturali e più ecosostenibili, oggi tanto richieste, soprattutto dalle nuove generazioni, più attente all’ambiente e alla qualità della vita. Per non parlare poi della possibilità di rilanciare in modo più deciso la produzione di energia elettrica mediante l’istallazione dei pannelli fotovoltaici sui tanti tetti disponibili nei piccoli centri. Se tutto questo si facesse, ciò potrebbe favorire finalmente in modo decisivo l’uso delle auto elettriche. 

Insomma, potremmo fare, senza accorgercene, e con un minimo di investimenti, una piccola rivoluzione dai risvolti sociali, economici e ambientali importanti e apprezzabili. Direi quasi un piccolo miracolo!

Giuseppe Filippi

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