Capitale italiana della Cultura, 17 le città candidate

Il Ministero della Cultura rende noto che sono 17 le città che hanno perfezionato la propria candidatura a Capitale italiana della Cultura 2027, dopo aver presentato la proposta progettuale entro la scadenza del 26 settembre prevista dal bando.

Di seguito l’elenco delle città con il relativo titolo del dossier:

1.       Acerra (provincia di Napoli, Campania) “I Segreti di Pulcinella”

2.       Aiello Calabro (provincia di Cosenza, Calabria) “Ajello terra antica et grossa et nobile et civile…”

3.       Alberobello (provincia di Bari, Puglia) “Pietramadre”

4.       Aliano (provincia di Matera, Basilicata) “Terra dell’altrove”

5.       Brindisi (Puglia) “Navigare il futuro”

6.       Caiazzo (provincia di Caserta, Campania) “La bellezza delle piccole cose”

7.       Gallipoli (provincia di Lecce, Puglia) “La bella tra terra e mare”

8.       La Spezia (Liguria) “Una cultura come il mare”

9.       Mazzarino (provincia di Caltanissetta, Sicilia) “Mazaris, il grano e le identità plurali”

10.   Morano Calabro (provincia di Cosenza, Calabria) “Morano Calabro: Le Quattro Porte del Sapere. Un Viaggio tra Cultura, Scienza, Natura e Spiritualità”

11.   Pompei (provincia di Napoli, Campania) “Pompei Continuum”

12.   Pordenone (Friuli Venezia Giulia) “Pordenone 2027. Città che sorprende”

13.   Reggio Calabria (Calabria) “Cuore del Mediterraneo”

14.   Sant’Andrea di Conza (provincia di Avellino, Campania) “Incontro tempo”

15.   Santa Maria Capua Vetere (provincia di Caserta, Campania) “Cultura Regina Viarum – Spartacus Resurgit”

16.   Savona (Liguria) “Nuove rotte per la cultura”

17.   Taverna (provincia di Catanzaro, Calabria) “Bellezza interiore”

I dossier, che contengono il progetto culturale della durata di un anno, inclusivo del dettaglio del cronoprogramma e delle singole attività previste oltre che della valutazione di sostenibilità economico-finanziaria, saranno valutati da una giuria di esperti che esaminerà le candidature e selezionerà un massimo di dieci finaliste entro il 12 dicembre 2024.

Tra le finaliste verrà scelta la città vincitrice per il 2027 dopo le audizioni pubbliche, che dovranno svolgersi entro il 12 marzo 2025, per la presentazione e l’approfondimento del dossier di candidatura alla giuria.

La proclamazione della Capitale italiana della Cultura si terrà entro il 28 marzo 2025.

La vincitrice riceverà un contributo finanziario di un milione di euro per realizzare gli obiettivi perseguiti dal progetto di candidatura e far diventare il dossier un programma di azione per mettere in mostra, nel periodo di un anno, la propria ricchezza culturale e attuare le possibilità di sviluppo offerte dalla nomina.

 

Roma, 28 settembre 2024
Ufficio Stampa e Comunicazione MiC

ACCORDO DI COLLABORAZIONE TRA L’ICEPS E LA MUNICIPALITA’ DI SHENZHEN.

Il 18 settembre a Roma, presso l’auditorium dell’Università San Domenico si è tenuto un evento di particolare rilievo per le aziende italiane interessate a sviluppare rapporti
commerciali ed economici con la Cina. L’iniziativa promossa e organizzata dall’Iceps e dalla Municipalità di Shenzhen in collaborazione con Confcommercio Roma,, IMIT, Simest, invest Hong Kong, ha segnato la prima visita ufficiale in Italia di una delegazione imprenditoriale proveniente da Shenzhen, la città simbolo dell’innovazione tecnologica cinese e uno dei principali hub economici asiatici.

Shenzhen, con i suoi oltre 20 milioni di abitanti, è un vero e proprio motore economico. Situata nella Greater Bay Area, che include anche Hong Kong, Guangzhou e altre
otto città del sud della Cina, ha un PIL comparabile a quello di nazioni come Spagna e Australia, rappresentando una delle aree più produttive e dinamiche del mondo.

L’evento romano ha rappresentato un’occasione senza precedenti per le aziende italiane, che hanno avuto l’opportunità di incontrare direttamente i rappresentanti dei
principali cluster economici di Shenzhen e della Greater Bay Area.
Lo scopo dell’incontro è stato quello di avviare nuove forme di cooperazione commerciale e tecnologica tra i due paesi, sfruttando le potenzialità del Made in Italy e la forza economica e finanziaria della città cinese.

https://iceps.it/accordo-tra-liceps-e-la-municipalita-di-shenzhen/

 

Piattaforma Italiana degli attori per l’Economia Circolare

https://www.icesp.it/

ICESP nasce per far convergere iniziative, condividere esperienze, evidenziare criticità ed indicare prospettive al fine di rappresentare in
Europa le specificità italiane in tema di economia circolare e di promuovere l’economia circolare in Italia attraverso specifiche azioni
dedicate.

ICESP è promosso da ENEA come iniziativa speculare e integrata a ECESP, Piattaforma Europea per l’Economia Circolare, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dell’economia circolare, mappare le buone pratiche di economia circolare e favorire il dialogo multistakeholder.

circular economy forum

ICESP al Re-think Circular Economy Forum – Taranto 2024

Dal 2 al 4 ottobre 2024 ICESP partecipa all’evento “Re-think Circular Economy Forum” di Taranto dedicato a tre principali aree tematiche: Transizione energetica & mobilità sostenibile, Valorizzazione delle acque & blue economy, Valorizzazione dei materiali & dei residui.

Villa De Sanctis – Roma – Rigenerazione urbana

Il progetto di rigenerazione urbana di Villa De Sanctis a Roma, ha visto il sostegno di Archetra all’Associazione culturale I CICLOPI, che ha realizzato due interventi nel quartiere che hanno dato nome e concept al progetto. L’intervento si compone di due opere distinte, la prima costituita da un intervento di street art e la seconda costituita da un’istallazione di design urbano. L’opera di street art consiste nella riproposizione astratta di alcuni scorci degli edifici del quartiere progettati negli anni ’60 da Ludovico Quaroni. Il murale, invece, vuole essere un omaggio alla storia di un quartiere che rappresenta il simbolo dell’edilizia sovvenzionata della città di Roma.

Per questo motivo, il volume presente al centro della piazza principale vuole rappresentare la convergenza del quartiere nel cuore della vita collettiva. 

Il secondo intervento consiste nell’istallazione di alcune tubazioni utilizzate come vasi per piante. Quest’opera vuole rappresentare l’unione tra gli elementi utilizzati nell’edilizia e il verde urbano.

VILLA DE SANCTIS – URBAN REGENERATION

 

Commissione Ue, Silvia Costa: ruolo cultura e creatività appare indebolito

19 settembre 2024

“Mi sembra molto indebolito nella Commissione europea il ruolo della Cultura e della creatività, separato per la prima volta dalla filiera della Educazione e messa come secondo titolo delle competenze (Equità intergenerazionale, cultura, giovani, sport) affidate al Commissario maltese Glenn Micalleff (un giovane funzionario, già capo della segreteria del primo ministro Abela). Sarà importante valutare quali effettivi programmi, budget e quali DG afferiranno a questo Commissario e soprattutto se sarà mantenuto l’approccio trasversale che abbiamo conquistato in Europa grazie soprattutto al Parlamento europeo con la ricerca, le Imprese culturali e creative, i fondi triturati e la diplomazia culturale”. E’ il commento di Silvia Costa, già presidente della Commissione Cultura del Parlamento europeo dal 2014 al 2017, all’indomani dell’annuncio da parte della presidente della commissione Europea, Ursula von der Leyen, del nuovo commissario che avrà tra le deleghe anche quella della cultura. “Tale indebolimento del settore culturale rischia di creare inoltre ancora maggiore squilibrio, anche come budget, nell’ambito della gestione del programma Europa Creativa che riunisce cultura, e Media e audiovisivo che invece va alla DG Connect”.

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Senza regole la libertà diventa flebile

23 settembre 2024

(Riflessioni del 2013 che mi sembrano ancora attuali)

Molte volte ho pensato di riflettere su questo tema, visto che viviamo in un paese ove sembra che la sconfinata discrezionalità da parte di chi esercita il potere, sia pubblico che privato, consenta ampi, anzi troppi, spazi di libertà. In realtà si tratta quasi sempre di arbitrio, soprattutto la dove le regole non esistono o, se esistono, vengono sistematicamente ignorate da parte di chi si sente intoccabile, potente, insomma chi esercita il potere.

L’Italia, intimamente è un Paese che ama infrangere le regole. Il detto “fatta la legge, trovato l’inganno” spiega magistralmente il modo di pensare e di agire degli italiani.

Infatti, un insigne magistrato ebbe a dire “L’Italia ha un sistema di leggi estremamente rigido e complesso mitigato però dall’inosservanza dei cittadini”.

Dunque, se le regole sono “deboli” o disattese, o troppo elastiche, per chi deve sottostare al potere si riducono inevitabilmente i margini di libertà. Si ridimensionano soprattutto la libertà di partecipare ai processi decisionali, la libertà di critica e quella di manifestare il proprio pensiero. Per non parlare della libertà di agire, manifestare o aggregare cittadini a progetti nuovi, che tendenzialmente potrebbero mettono in discussione la pratica corrente di esercizio del potere ai vari livelli.

Questo avviene perché i cittadini, e il Paese, sono in larga parte condizionabili, se non addirittura ricattabili, quando sono sotto il diretto controllo di chi esercita un potere, sia esso pubblico o privato. Lo sono i dipendenti pubblici, quelli privati, i lavoratori autonomi, i professionisti e le imprese che da questi potenti ricevono lavoro, incarichi ed appalti. Insomma, un Paese imbavagliato, che non trova né la forza né la volontà di reagire. E non è un caso che il Paese, da circa venti anni, si trova in una situazione di drammatica cloroformizzazione, salvo qualche raro accenno di reazione causato dalle onde d’urto del “dipietrismo” prima e dal “grillismo” dopo.

Se questa è la situazione c’è da chiedersi: ma in che posto viviamo? È questa la democrazia che vogliono i cittadini? La risposta è sicuramente no. Ma la realtà è che tutti si piegano alla forza “bruta” del potere e, molto spesso, addirittura la condividono, complici, in silenzio, affinché ne possano beneficiare a scapito di qualcun altro.

E dunque viviamo in un paese dove la libertà ci è stata tolta, o ci viene di fatto negata, senza far ricorso ad alcuna violenza, a nessun’arma. Ci hanno semplicemente anestetizzato i cervelli e gli animi. Aspettiamo passivamente che qualcuno al posto nostro cambi la situazione, faccia qualcosa di risolutivo, che arrivi come al solito “l’uomo mandato dalla Provvidenza”.

Su questo, si sa! dovremmo stare particolarmente attenti, visti i due “ventenni” che l’Italia ha avuto la sventura di sopportare: quello mussoliniano e quello berlusconiano.

Oggi volevo riprendere a scrivere sul tema della libertà, vista anche la celebrazione di ieri della Festa della Repubblica.

Volevo iniziare a farlo riprendendo con degli interrogativi, quali:

  • Cos’è la libertà?
  • Cosa ho fatto per la mia libertà e quella degli altri?
  • Qual è il prezzo della libertà?
  • Si può parlare di libertà se non si è liberi di scegliere?
  • Si può parlare di libertà quando non c’è lavoro?
  • Si può parlare di libertà quando esercitarla può equivalere ad essere, rimossi, licenziati, emarginati?
  • C’è libertà quando si possono scrivere qualunque tipo di scemenze su internet?
  • E’ libertà poter scrivere liberamente qualsiasi tipo di riflessione su un proprio quaderno stando rinchiuso ingiustamente in un carcere?
  • Si è veramente liberi, quando non si può accedere liberamente agli studi e alla propria formazione, ai mezzi d’informazione e di comunicazione che influenzano effettivamente la pubblica opinione?
  • Si è realmente liberi quando non si hanno più soggetti e luoghi fisici all’interno dei quali poter partecipare attivamente e liberamente alla vita democratica del proprio Paese?
  • Si è davvero liberi quando in un Paese, che si definisce democratico come l’Italia, non è garantita la libertà di associazione tra cittadini?
  • Si è liberi quando si viene spinti ad abbandonare il proprio paese per trovare un futuro che dia sicurezza economica e sociale?
  • Si è liberi quando si vive in un Paese dove le generazioni precedenti si accaparrano e si sono accaparrate anche in passato tutte le risorse disponibili per il welfare state e per lo sviluppo, in nome del motto “I diritti acquisiti non si toccano”?
  • E’ un Paese libero quello dove non si riesce minimamente a sviluppare un forte senso della solidarietà e dell’alleanza tra nuove e vecchie generazioni?
  • E’ libero il Paese dove il più forte, il più protetto, fino al limite del privilegio, prevale sempre sul più debole, dove si fanno “guerre tra poveri”?

Poi, però, mi sono imbattuto in due video che mi hanno inviato degli amici.

In uno c’è la lettera di Einstein alla figlia e parla dell’AMORE, in un altro della dedizione delle MAMME ai figli…. E sono rimasto spiazzato, perché ti accorgi che alla base di tutto c’è proprio questa forza prodigiosa, straordinaria e sottovalutata dagli uomini e dalla scienza, come affermava Einstein!

Che dire il confronto è aperto.

Giuseppe Filippi

G7 Agricoltura, il 24/9 focus su patrimonio culturale immateriale agroalimentare

Nel contesto del G7 Agricoltura, martedì 24 settembre, presso la Camera di Commercio di Siracusa, si terrà l’incontro “La valorizzazione del patrimonio culturale immateriale agroalimentare. Il progetto GeCA e i PAT come motore di sviluppo”. L’incontro, promosso dalla Consulta Nazionale Distretti del Cibo e dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del Ministero della Cultura sarà focalizzato su due diversi strumenti di valorizzazione del patrimonio culturale agroalimentare: il Geoportale della Cultura Alimentare (GeCA) e i PAT, ossia i Prodotti Agroalimentari della Tradizione. Il primo è un progetto digitale ideato, sviluppato e sostenuto dall’Istituto: la piattaforma del Geoportale della Cultura Alimentare (www.culturalimentare.beniculturali.it) nasce dalla visione, dal proposito di raccogliere dati sul tesoro di esperienze, storie, tradizioni e “saper fare” che costituiscono il patrimonio culturale che in Italia, nel corso dei millenni, si è sedimentato intorno al cibo e al mangiare. In questo modo il cibo diventa elemento trasversale che permette di riunire in un unico spazio di racconto e scoperta racconti legati all’ambito agroalimentare e a tutto ciò che intorno ad esso ruota: produzione agricola, trasformazione, lingue, colori, leggende, giochi.

Imprese culturali e creative: Sottosegretario Borgonzoni, “Per noi realtà fondamentali, in arrivo altri fondi MiC”

«Le imprese culturali e creative sono sempre più centrali nelle politiche del Ministero. Rappresentano la base della nostra cultura e un importante motore di crescita sia culturale che economica del Paese. Dopo i 40 milioni di euro investiti insieme al Ministero dello Sviluppo economico – dove vedremo riconosciuto per la prima volta l’artigianato artistico, mentre per quanto riguarda la moda sono state inserite anche le specificità fino ad oggi escluse – e il bando in uscita da 155 milioni di euro per la digitalizzazione e la transizione verde dell’intera filiera, vi sarà un finanziamento legato ai Borghi del valore di 200 milioni di euro, a cui queste imprese potranno accedere presentando progetti di rigenerazione culturale e sociale. Stiamo lavorando inoltre già da mesi insieme al Mur al sostegno di una cordata italiana che ha risposto al bando dell’Unione Europea per l’istituzione della prima Comunità di conoscenza ed innovazione dedicata alle Industrie Culturali e Creative cui sono destinati 150 milioni di euro nella programmazione 2021-2027». Così il Sottosegretario di Stato per la Cultura Lucia Borgonzoni.

L’Europa nel ricordo di Stefano Rodotà

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 9 Gennaio 2014

Nel suo gran libro su La crisi della coscienza europea dal 1680 al 1715, Paul Hazard ebbe a definire l’Europa come “un pensiero che mai si accontenta”. Oggi, prigioniera di una crisi senza precedenti, l’Unione europea si accontenta di politiche economiche restrittive, quasi una frontiera invalicabile. Questa è l’Europa degli anni che viviamo. Nella quale sono deboli i tentativi di colmare il deficit di democrazia segnalato da Jacques Delors. Ed essa è scivolata verso un deficit di legittimità, che è alla base della crescente sfiducia dei cittadini, delle spinte verso la rinazionalizzazione, dell’abbandono di valori e principi dell’Unione come accade in Ungheria.

Vi era stato un momento in cui questo rischio era stato individuato, e s’era imboccata la via per contrastarlo. Nel 1999, il Consiglio europeo aveva aperto una fase costituente, affidando ad una Convenzione il compito di scrivere una carta dei diritti. La ragione di questa scelta era netta: “La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità. Allo stato attuale dello sviluppo dell’Unione, è necessario elaborare una Carta di tali diritti al fine di sancirne in modo visibile l’importanza capitale e la portata per i cittadini dell’Unione”. Si manifestava così la consapevolezza che la costruzione dell’Europa affidata solo al mercato avesse esaurito le sue risorse. che la sua piena legittimità esigesse ormai una centralità dei diritti. Ritroviamo qui l’eco lontana dell’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: “la società nella quale non è assicurata la garanzia dei diritti, e non è determinata la divisione dei poteri, non ha Costituzione”. Quel che sta accadendo nell’Unione europea è appunto questo — una decostituzionalizzazione. Il suo sistema è stato amputato della Carta dei diritti fondamentali, del suo Bill of Rights, che pure, com’è scritto nell’articolo 6 del Trattato di Lisbona, “ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Cogliendo questo spirito, addirittura quando la Carta non era vincolante, l’allora presidente Romano Prodi dichiarò subito che “Parlamento e Commissione hanno già fatto sapere che intendono applicare integralmente la Carta”. Proposito ribadito e reso più impegnativo da successive comunicazioni della Commissione.

Oggi l’orizzonte è mutato, l’Unione agisce come se la Carta non vi fosse, nega ai cittadini il valore aggiunto ad essa affidato proprio per acquisire legittimità attraverso la loro adesione, e muta i cittadini da attori del processo europeo in puri spettatori, impotenti e sfiduciati di fronte all’arrivo da Bruxelles di imposizione di sacrifici e non di garanzie dei diritti. V’è in tutto questo una contraddizione, un abbandono della logica che volle il passaggio dell’espressione “Mercato unico” a “Unione europea”, che avrebbe dovuto avvicinare istituzioni e cittadini, e questi tra loro. E vi è pure un abbandono di quanto è scritto nel Preambolo della Carta, dove si afferma l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”.

Una “costituzione finanziaria” ha sostituito tutto questo, e dunque da qui bisogna ripartire, anche perché si è diffusa la consapevolezza dei guasti provocati da una sua assunzione acritica. Questo dovrebbe essere il tema centrale delle imminenti elezioni europee. Altrimenti finirà che, sul versante degli europeisti, prendano il sopravvento le lamentazioni contro i populismi antieuropei, quelli che l’Economist chiama la “Europa dei Tea Parties”, mentre bisogna guardare a fondo nelle loro ragioni e produrre gli anticorpi necessari. E questo può avvenire solo se si ricompone il contesto costituzionale europeo, reintegrandolo con la Carta, anche per riprendere un diverso filo della stessa discussione economica. Così acquisterà chiarezza anche l’obiettivo di avere più Europa politica. Per fare che cosa? Rendere ancora più stringente la logica economica? O ridare fiato ad un pensiero che non si accontenta di questo inquietante riduzionismo?

Partire dall’Europa, allora, non è un parlar d’altro, un tentativo di eludere le specifiche questioni italiane. È un passaggio obbligato proprio per definire meglio le responsabilità nazionali, oggi frammentate tra difficoltà ed egoismi dei singoli Stati, per affrontare senza reticenze non l’antieuropeismo spicciolo di chi cercherà di lucrare qualche consenso alle prossime elezioni, ma l’obiezione radicale di chi, da ultimo Wolfgang Streeck, vede ormai nell’Unione europea l’epicentro della “colonizzazione capitalistica”. La replica di Juergen Habermas a questa tesi può anche apparire non del tutto convincente, ma coglie un punto di verità quando segnala il rischio di “una rinuncia disfattista al progetto europeo”, che non aprirebbe la via a una Europa rinazionalizzata, ma manterrebbe al centro proprio le distruttive dinamiche della pura austerità. L’ipotesi è quella di democratizzare il sistema delle istituzioni europee, intervenendo sui trattati. Ma questa strategia sarebbe monca e debole se rimanesse fuori la revisione della nuova costituzione economica e, soprattutto, se si ignorasse il grande conflitto sui diritti che ha già devastato l’Europa accrescendo distanze e diseguaglianza, impoverendo intere popolazioni, e che è oggi l’ostacolo vero per la creazione di un “popolo europeo”. Se vi è un errore nelle ripulse d’una sinistra estrema, altrettanto rischiosa è l’incapacità dell’altra sinistra di considerare ineludibile questo tema.

Esiste ormai un insieme di critiche alle politiche di austerità che dovrebbe essere messo a frutto, articolato com’è anche in specifiche proposte d’intervento, che indicano non una via d’uscita dall’Unione, ma la necessità di una revisione dei suoi strumenti istituzionali. Proprio per questo l’attenzione alla sola dimensione dell’economia sarà insufficiente se non sarà reintegrata in questo più vasto contesto.

Qui si coglie il nesso tra Europa e Italia, dove troppi continuano a separare le due questioni e dove è in atto il tentativo di scorporare dalla Costituzione tutta la parte relativa ai diritti. Si è manifestata una critica irridente i difensori dei diritti fondamentali, sfruttando una colorita battuta di Roberto Benigni sulla “Costituzione più bella del mondo”. In discussioni impegnative si dovrebbero frequentare anche altre fonti. Massimo Severo Giannini, ad esempio, che definì “splendida” la prima parte; o Leopoldo Elia, che nella Costituzione vide “una delle migliori prove del costituzionalismo europeo, soprattutto per la completezza e lo spessore della dichiarazione dei diritti civili, sociali e politici”. Questo non è trionfalismo, ma l’indicazione di una politica costituzionale che, proprio in vista di riforme della seconda parte, non può abbandonare i principi definiti nella prima. Unione europea e Italia hanno il medesimo problema di ricomposizione dell’ordine costituzionale come condizione della sopravvivenza della stessa democrazia.

A tutti gli europei, e ai loro governanti, dovrebbe essere imposta la lettura dell’ultima pagina dell’Omaggio alla Catalogna di George Orwell, con la straordinaria descrizione dell’inconsapevolezza inglese verso i segnali dell’imminente guerra mondiale. Rassicurati allora nelle loro piccole certezze (“non vi preoccupate: la bottiglia del latte sarà davanti alla porta di casa domattina e il New Statesman uscirà di venerdì”), chiusi oggi i paesi più ricchi in una insolente rottura d’ogni solidarietà e progetto comune, proprio così si erodono le basi di una “Unione” ben più degli antieuropeisti di professione.

(10 gennaio 2014)

«Oggi più che mai, è sempre l’ora di tornare a Voltaire» di Eugenio Scalfari (2019)

Il crollo dei valori. La governabilità dei popoli. E l’elogio della tolleranza. Vent’anni dopo la prima edizione, l’immaginario dialogo con il filosofo dei Lumi è ancora più d’attualità

Il mio libro intitolato “La ricerca della morale perduta” fu pubblicato nell’ottobre del 1995. Dopo oltre vent’anni lo ritrovate ora nelle librerie e nelle edicole, insieme al nostro giornale. Nel frattempo a me è venuta la voglia di anticiparvene alcuni aspetti e ragionamenti che potranno in qualche modo esservi utili, sia per condividerli e sia eventualmente per rifiutarli. Dando luogo così a un vostro modo diverso di ragionare, mettendo in moto la mente e la vostra logica spirituale.Comincio col trascrivere due sentenze della logica e dell’esperienza che appartengono a due grandi scrittori e che troverete nella prima pagina del libro. La prima è di Paul Valéry. Eccolo: «Da dove può venire l’idea che l’uomo è libero? O l’altra per cui non lo è? Non so se per cominciare questa controversia sia stata la filosofia o la Polizia».

La seconda citazione è di Isaiah Berlin: «Libertà e uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti dagli esseri umani per secoli; ma libertà totale per i lupi significa morte per gli agnelli; una totale libertà dei potenti, dei capaci, non è compatibile col diritto che anche i deboli e meno capaci hanno per una vita decente».
Non si poteva dir meglio per presentare un libro che ha quel titolo. Al centro del volume c’è un incontro, ovviamente immaginario, tra me e Voltaire. È interessante poiché io chiedo a Voltaire come la pensa sulla morale e mi faccio rispondere usando parole che sono sue citazioni, e illustrano la filosofia volterriana e la sua seria e al tempo stesso mondana intellettualità.

Si parla di molte cose nel libro che ovviamente lascio a voi leggere, nella speranza che lo farete. Ma una citazione conclusiva mi permetto di fornirvela oggi: in modo che comprerete il libro già preparati alla sua lettura e ai suoi contenuti. La citazione che qui trascrivo porta il titolo “Epilogo dove l’autore disserta sul crollo dei valori”. Ed ecco di seguito la parte principale del testo suddetto.

«Il crollo dei valori, sì, questo è il tema sul quale vi intratterrò. Siete venuti in buon numero, vedo, e certamente per l’interesse che l’argomento suscita. I valori sono di grande ausilio all’opera di ciascuno di noi; senza di essi sarebbe molto più difficile governare gli uomini e avviarli verso ideali positivi poiché gli uomini orienterebbero i loro comportamenti soltanto sulla base degli istinti elementari che promanano dalla loro fisicità e non riuscirebbero a tirar su il muso da terra se non di pochi centimetri. Ma voi siete preoccupati: avete infatti la sgradevole sensazione che i vecchi valori siano caduti dal cuore e dalla mente degli uomini mentre non sembrano esserne nati i luoghi che le tengano il posto. E voi sentite crescere la vostra impotenza: gli individui e le comunità eventualmente affidati alle vostre cure non reagiscono più nei modi previsti, le loro azioni sono sempre più erratiche, il sentimento dei doveri è diventato flebile, tra poco scomparirà del tutto mentre già vigoreggia quello dei diritti. Diritti anarchici tuttavia e non, come sarebbe auspicabile, collegati tra loro da un’architettura logica che li tenga insieme e serva a costruire una figura dignitosa di uomo socievole.

Ebbene, lasciatemi dire che questo vostro malessere è in larga misura infondato per almeno tre buone ragioni.
La prima è che l’ormai famigerato crollo dei valori del quale si fa un gran discutere agli angoli di tutte le strade che non c’è affatto stato, è una figura retorica inventata da un debole pensiero storico e sociologico che non sapendo spiegare i mutamenti della società si è rifugiato dietro un’immagine volutamente catastrofale che dovrebbe fornire la motivazione di tutti gli enigmi dell’epoca.

La seconda riguarda la governabilità dei popoli che non è affatto diventata così impraticabile come voi lamentate, ma anzi tende a semplificarsi perché sussidiata da strumenti appropriati. La terza infine concerne direttamente il vostro ruolo, la vostra posizione e vorrei dire il vostro destino nella società che si affaccia al terzo millennio della nostra Era. Voi siete paurosi che quel destino stia per concludersi, che non ci sia più bisogno di voi in una società automatizzata, affidata alle macchine e al tempo reale anziché a quello della memoria storica e dell’identità del quale voi siete stati fin qui i custodi.

Io credo in tutta sincerità che questa paura sia priva di fondamento. Voi siete più necessari di prima; voi siete indispensabili. Ma dico di più: nella storia delle élites – passatemi il termine – voi rappresentate un miracolo. Vi siete gradualmente spogliati di ogni inutile ideologia. Restano gli ideali che sono di solito ben motivati. Nella nostra società occidentale, a mio avviso, nessun trauma sociale, economico, politico è alle viste. Ci sarebbe potuto essere tutt’al più un trauma morale, ma voi avete anticipato. Avete inventato la prassi, avete cosalizzato la società, avete sostituito l’acciaio con la plastica non soltanto nell’industria ma nei caratteri.

Perciò potete esser tranquilli: una società fondata su valori di plastica è talmente flessibile da poter sostenere ogni urto; è una struttura antisismica per definizione. Del resto la triade che avevate coniato di libertà, eguaglianza, fraternità, garrisce ancora sulle bandiere della civiltà occidentale ma i contenuti che essa esprime sono notevolmente cambiati.

Nel preparare questa mia dissertazione ho dovuto per prima cosa analizzare il significato autentico delle due parole che ne compongono il titolo. E anzitutto la parola crollo. Sembra facile configurare un crollo che è un qualcosa che vien giù. Ma che genere di qualcosa? Tutti i gravi vengono giù a causa della forza di gravità e infatti parliamo di caduta ma non necessariamente di crollo. Perché vi sia un crollo ci vuole un qualcosa che abbia non solo un peso ma si configuri come un’impalcatura, un sistema, un’architettura, vorrei dire come una logica. Quando un sistema si decompone noi assistiamo ad un crollo. Per evitarlo o allontanarlo raccomando dunque strutture leggere, moralità elastiche, caratteri sperimentali.

Sulla parola valore si fa anche molta confusione, le si danno al tempo stesso contenuti economici, morali, ideologici. I valori finiscono così per essere tutto e nulla, un modello cui riferirsi, un metro con cui misurare, un criterio di giudizio. Si parla indifferentemente di valori patriottici, di valori cristiani, di valori liberali, di valori comunisti, di valori occidentali, di valori militari, di valori patrimoniali e di valori di Borsa. Bisogna dunque fare un po’ di chiarezza.

Quando ci si riferisce ad oggetti e a persone ridotte nella condizione di oggetti perché poste sotto il dominio di altre persone, il valore esprime il grado di utilità che l’oggetto fornisce al soggetto che lo usa. Se ci si riferisce invece ai comportamenti di persone libere, il loro valore misura l’utilità sociale che una determinata comunità può ricavarne. Passiamo così da una nozione economica del valore ad una nozione morale. Ma chi giudica l’utilità sociale dei comportamenti? Questa è una buona domanda da porre a voi che siete e rappresentate la classe dirigente di questa civiltà liberale, democratica, tecnologica, che si affaccia sul bordo del terzo millennio.
In punto di principio a emanare quel giudizio dovrebbe essere la società, cioè il complesso delle persone. Ma chi parla a nome della società? Qual è la sua voce autentica e come si esprime?

La società in quanto tale non ha una voce autentica che possa esprimere giudizi di valore sui singoli comportamenti. Ma esiste un’opinione pubblica. E che cos’è l’opinione pubblica se non appunto quell’inafferrabile, indefinibile e tuttavia potentissima fonte del giudizio sull’utilità sociale del comportamento?
Dunque è l’opinione pubblica l’organo che definisce i valori, li alimenta, li fa declinare, li rinnova e attraverso questo immane e ininterrotto lavoro fornisce il metro sul quale apprezzare i comportamenti degli individui, delinea una morale alla quale tutti debbono riferirsi ed esprimere un sistema coerente che costituisce al tempo stesso la forza vitale della società e il suo scudo protettivo. Ma chi è l’opinione pubblica? Tutti noi siamo opinione pubblica messi insieme e tutti noi siamo al tempo stesso liberi e servi di qualche cosa che ci supera e della quale siamo strumenti.

Padroni e servi, questa è la nostra condizione. È bene che ne siamo lucidamente consapevoli poiché quello è il solo modo per sviluppare la nostra intelligenza e contenere, perdonatemi la franchezza, la nostra non eliminabile stupidità.

Siamo servi d’un valore autonomo da tutti gli altri, che con gli altri non fa sistema e la cui presenza è permanente, quale che sia il contesto dentro il quale la società storicamente si colloca. In realtà la nostra morale è il potere: esso è la pre-condizione perché un qualsiasi sistema di valori possa sussistere per informare di Sé una determinata società.

Il potere dunque rappresenta il valore primario senza il quale nessuno degli altri potrebbe neppure esser pensato. Ma il potere è lo Stato, la legge, la premessa della convivenza, il notaio del contratto sociale. Il potere garantisce al di sopra e al di là della felicità dei singoli, la felicità più duratura della comunità e quindi della specie che è composta di individui socievoli. Dovete rivendicare con orgoglio e sforzarvi di esserne degni, quel potere che si risolve in prima istanza in un accrescimento della vostra volontà di potenza individuale ma infine in una maggior dose della vostra individuale felicità rispetto a quella di tutti gli altri vostri consimili. Voi conoscete alla perfezione il pericolo del potere e quindi dovete avere abolito le ideologie. Il famoso crollo dei valori siete stati voi a provocarlo nel momento in cui avete laicizzato il potere, lo avete svestito di ogni sacralità per farne un elemento di tecnica sociale.

Io credo che voi dobbiate ora ripristinare qualcuno dei vecchi buoni valori d’un tempo, a vostra protezione e quindi nell’interesse di tutti. Perciò all’opera: Nascitur novus ordo.

Parliamoci infine con chiarezza: il vero e unico valore socialmente apprezzabile è la tolleranza della quale mai come ora abbiamo assoluto bisogno. Essa si rafforza quando sia appaiata con una robusta dose di ipocrisia sociale e individuale. L’elogio della tolleranza fa tutt’uno con quello dell’ipocrisia: sarà bene ricordarlo a scanso di errori futuri e funesti».

Come vedete non sono molto ottimista, ma spero con tutta la forza morale della quale dispongo di sbagliarmi, nell’interesse di tutti.

Comprate il libro: spero che vi interessi e magari vi diverta anche un po’.

DI SEGUITO I MIEI COMMENTI ALL’ARTICOLO

Giuseppe Filippi

Prendere atto e comprendere pienamente la situazione che attraversa il Paese, impone una presa di coscienza forte. Tutti avvertono ormai il deficit spaventoso di una classe dirigente che non è all’altezza dei compiti che, invece, la contemporaneità impone. Lasciare il Paese in questa condizione senza intervenire potrebbe costituire una grave responsabilità per tutti, ma ancor dipiù per noi che, per naturale vocazione culturale, veniamo da esperienze professionali e da mondi che hanno sempre dato al paese i migliori elementi della sua classe dirigente. Da oltre 25 anni questo Paese ha potuto sperimentare tutte le differenti genie di classe dirigente alla guida del Governo: Politici, venuti con la cosiddetta seconda Repubblica, da ogni schieramento (destra, centro, sinistra), nessuno escluso, Professori (tecnici) e Magistrati. La scena alla quale abbiamo assistito è stata sempre la stessa: nessuno è……

Giuseppe Filippi

E SE RIPARTISSIMO DALLE CULTURE POLITICHE?

Provare ad uscire dalle secche della ragione, e dalle nebbie della storia, riscoprendo i fondamentali della cultura politica sui quali si è imperniato tutto l’occidente.

di Giuseppe Filippi

La gran parte dei paesi del mondo sembrano aver perduto la bussola. Hanno abbandonato ogni tracciato di quello che era stato realizzato nel ‘900 in termini di sistemi di governo, siano essi democratici che conservatori.

Cosa è successo dunque a questo nostro mondo, che si è venuto determinando attraverso l’arco degli ultimi 2500anni? Che si era ridato una fisionomia nuova, nata geopoliticamente da dopo la fine dell’ultimo conflitto mondiale?

Perché nel corso dei secoli gli uomini si sono sempre affrontati, scontrati, uccisi per dei principi, per dei valori, per senso di sopraffazione e dominio, per pura avidità, mentre oggi sembrano condurre solo o prevalentemente guerre