Il crollo dei valori. La governabilità dei popoli. E l’elogio della tolleranza. Vent’anni dopo la prima edizione, l’immaginario dialogo con il filosofo dei Lumi è ancora più d’attualità
Il mio libro intitolato “La ricerca della morale perduta” fu pubblicato nell’ottobre del 1995. Dopo oltre vent’anni lo ritrovate ora nelle librerie e nelle edicole, insieme al nostro giornale. Nel frattempo a me è venuta la voglia di anticiparvene alcuni aspetti e ragionamenti che potranno in qualche modo esservi utili, sia per condividerli e sia eventualmente per rifiutarli. Dando luogo così a un vostro modo diverso di ragionare, mettendo in moto la mente e la vostra logica spirituale.Comincio col trascrivere due sentenze della logica e dell’esperienza che appartengono a due grandi scrittori e che troverete nella prima pagina del libro. La prima è di Paul Valéry. Eccolo: «Da dove può venire l’idea che l’uomo è libero? O l’altra per cui non lo è? Non so se per cominciare questa controversia sia stata la filosofia o la Polizia».
La seconda citazione è di Isaiah Berlin: «Libertà e uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti dagli esseri umani per secoli; ma libertà totale per i lupi significa morte per gli agnelli; una totale libertà dei potenti, dei capaci, non è compatibile col diritto che anche i deboli e meno capaci hanno per una vita decente».
Non si poteva dir meglio per presentare un libro che ha quel titolo. Al centro del volume c’è un incontro, ovviamente immaginario, tra me e Voltaire. È interessante poiché io chiedo a Voltaire come la pensa sulla morale e mi faccio rispondere usando parole che sono sue citazioni, e illustrano la filosofia volterriana e la sua seria e al tempo stesso mondana intellettualità.
Si parla di molte cose nel libro che ovviamente lascio a voi leggere, nella speranza che lo farete. Ma una citazione conclusiva mi permetto di fornirvela oggi: in modo che comprerete il libro già preparati alla sua lettura e ai suoi contenuti. La citazione che qui trascrivo porta il titolo “Epilogo dove l’autore disserta sul crollo dei valori”. Ed ecco di seguito la parte principale del testo suddetto.
«Il crollo dei valori, sì, questo è il tema sul quale vi intratterrò. Siete venuti in buon numero, vedo, e certamente per l’interesse che l’argomento suscita. I valori sono di grande ausilio all’opera di ciascuno di noi; senza di essi sarebbe molto più difficile governare gli uomini e avviarli verso ideali positivi poiché gli uomini orienterebbero i loro comportamenti soltanto sulla base degli istinti elementari che promanano dalla loro fisicità e non riuscirebbero a tirar su il muso da terra se non di pochi centimetri. Ma voi siete preoccupati: avete infatti la sgradevole sensazione che i vecchi valori siano caduti dal cuore e dalla mente degli uomini mentre non sembrano esserne nati i luoghi che le tengano il posto. E voi sentite crescere la vostra impotenza: gli individui e le comunità eventualmente affidati alle vostre cure non reagiscono più nei modi previsti, le loro azioni sono sempre più erratiche, il sentimento dei doveri è diventato flebile, tra poco scomparirà del tutto mentre già vigoreggia quello dei diritti. Diritti anarchici tuttavia e non, come sarebbe auspicabile, collegati tra loro da un’architettura logica che li tenga insieme e serva a costruire una figura dignitosa di uomo socievole.
Ebbene, lasciatemi dire che questo vostro malessere è in larga misura infondato per almeno tre buone ragioni.
La prima è che l’ormai famigerato crollo dei valori del quale si fa un gran discutere agli angoli di tutte le strade che non c’è affatto stato, è una figura retorica inventata da un debole pensiero storico e sociologico che non sapendo spiegare i mutamenti della società si è rifugiato dietro un’immagine volutamente catastrofale che dovrebbe fornire la motivazione di tutti gli enigmi dell’epoca.
La seconda riguarda la governabilità dei popoli che non è affatto diventata così impraticabile come voi lamentate, ma anzi tende a semplificarsi perché sussidiata da strumenti appropriati. La terza infine concerne direttamente il vostro ruolo, la vostra posizione e vorrei dire il vostro destino nella società che si affaccia al terzo millennio della nostra Era. Voi siete paurosi che quel destino stia per concludersi, che non ci sia più bisogno di voi in una società automatizzata, affidata alle macchine e al tempo reale anziché a quello della memoria storica e dell’identità del quale voi siete stati fin qui i custodi.
Io credo in tutta sincerità che questa paura sia priva di fondamento. Voi siete più necessari di prima; voi siete indispensabili. Ma dico di più: nella storia delle élites – passatemi il termine – voi rappresentate un miracolo. Vi siete gradualmente spogliati di ogni inutile ideologia. Restano gli ideali che sono di solito ben motivati. Nella nostra società occidentale, a mio avviso, nessun trauma sociale, economico, politico è alle viste. Ci sarebbe potuto essere tutt’al più un trauma morale, ma voi avete anticipato. Avete inventato la prassi, avete cosalizzato la società, avete sostituito l’acciaio con la plastica non soltanto nell’industria ma nei caratteri.
Perciò potete esser tranquilli: una società fondata su valori di plastica è talmente flessibile da poter sostenere ogni urto; è una struttura antisismica per definizione. Del resto la triade che avevate coniato di libertà, eguaglianza, fraternità, garrisce ancora sulle bandiere della civiltà occidentale ma i contenuti che essa esprime sono notevolmente cambiati.
Nel preparare questa mia dissertazione ho dovuto per prima cosa analizzare il significato autentico delle due parole che ne compongono il titolo. E anzitutto la parola crollo. Sembra facile configurare un crollo che è un qualcosa che vien giù. Ma che genere di qualcosa? Tutti i gravi vengono giù a causa della forza di gravità e infatti parliamo di caduta ma non necessariamente di crollo. Perché vi sia un crollo ci vuole un qualcosa che abbia non solo un peso ma si configuri come un’impalcatura, un sistema, un’architettura, vorrei dire come una logica. Quando un sistema si decompone noi assistiamo ad un crollo. Per evitarlo o allontanarlo raccomando dunque strutture leggere, moralità elastiche, caratteri sperimentali.
Sulla parola valore si fa anche molta confusione, le si danno al tempo stesso contenuti economici, morali, ideologici. I valori finiscono così per essere tutto e nulla, un modello cui riferirsi, un metro con cui misurare, un criterio di giudizio. Si parla indifferentemente di valori patriottici, di valori cristiani, di valori liberali, di valori comunisti, di valori occidentali, di valori militari, di valori patrimoniali e di valori di Borsa. Bisogna dunque fare un po’ di chiarezza.
Quando ci si riferisce ad oggetti e a persone ridotte nella condizione di oggetti perché poste sotto il dominio di altre persone, il valore esprime il grado di utilità che l’oggetto fornisce al soggetto che lo usa. Se ci si riferisce invece ai comportamenti di persone libere, il loro valore misura l’utilità sociale che una determinata comunità può ricavarne. Passiamo così da una nozione economica del valore ad una nozione morale. Ma chi giudica l’utilità sociale dei comportamenti? Questa è una buona domanda da porre a voi che siete e rappresentate la classe dirigente di questa civiltà liberale, democratica, tecnologica, che si affaccia sul bordo del terzo millennio.
In punto di principio a emanare quel giudizio dovrebbe essere la società, cioè il complesso delle persone. Ma chi parla a nome della società? Qual è la sua voce autentica e come si esprime?
La società in quanto tale non ha una voce autentica che possa esprimere giudizi di valore sui singoli comportamenti. Ma esiste un’opinione pubblica. E che cos’è l’opinione pubblica se non appunto quell’inafferrabile, indefinibile e tuttavia potentissima fonte del giudizio sull’utilità sociale del comportamento?
Dunque è l’opinione pubblica l’organo che definisce i valori, li alimenta, li fa declinare, li rinnova e attraverso questo immane e ininterrotto lavoro fornisce il metro sul quale apprezzare i comportamenti degli individui, delinea una morale alla quale tutti debbono riferirsi ed esprimere un sistema coerente che costituisce al tempo stesso la forza vitale della società e il suo scudo protettivo. Ma chi è l’opinione pubblica? Tutti noi siamo opinione pubblica messi insieme e tutti noi siamo al tempo stesso liberi e servi di qualche cosa che ci supera e della quale siamo strumenti.
Padroni e servi, questa è la nostra condizione. È bene che ne siamo lucidamente consapevoli poiché quello è il solo modo per sviluppare la nostra intelligenza e contenere, perdonatemi la franchezza, la nostra non eliminabile stupidità.
Siamo servi d’un valore autonomo da tutti gli altri, che con gli altri non fa sistema e la cui presenza è permanente, quale che sia il contesto dentro il quale la società storicamente si colloca. In realtà la nostra morale è il potere: esso è la pre-condizione perché un qualsiasi sistema di valori possa sussistere per informare di Sé una determinata società.
Il potere dunque rappresenta il valore primario senza il quale nessuno degli altri potrebbe neppure esser pensato. Ma il potere è lo Stato, la legge, la premessa della convivenza, il notaio del contratto sociale. Il potere garantisce al di sopra e al di là della felicità dei singoli, la felicità più duratura della comunità e quindi della specie che è composta di individui socievoli. Dovete rivendicare con orgoglio e sforzarvi di esserne degni, quel potere che si risolve in prima istanza in un accrescimento della vostra volontà di potenza individuale ma infine in una maggior dose della vostra individuale felicità rispetto a quella di tutti gli altri vostri consimili. Voi conoscete alla perfezione il pericolo del potere e quindi dovete avere abolito le ideologie. Il famoso crollo dei valori siete stati voi a provocarlo nel momento in cui avete laicizzato il potere, lo avete svestito di ogni sacralità per farne un elemento di tecnica sociale.
Io credo che voi dobbiate ora ripristinare qualcuno dei vecchi buoni valori d’un tempo, a vostra protezione e quindi nell’interesse di tutti. Perciò all’opera: Nascitur novus ordo.
Parliamoci infine con chiarezza: il vero e unico valore socialmente apprezzabile è la tolleranza della quale mai come ora abbiamo assoluto bisogno. Essa si rafforza quando sia appaiata con una robusta dose di ipocrisia sociale e individuale. L’elogio della tolleranza fa tutt’uno con quello dell’ipocrisia: sarà bene ricordarlo a scanso di errori futuri e funesti».
Come vedete non sono molto ottimista, ma spero con tutta la forza morale della quale dispongo di sbagliarmi, nell’interesse di tutti.
Comprate il libro: spero che vi interessi e magari vi diverta anche un po’.
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Giuseppe Filippi
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