La crisi dell’Euro e lo spread che attanaglia gli italiani

di Giuseppe Filippi

Oggi i paesi afflitti e attaccati dalla speculazione finanziaria internazionale (Grecia,
Spagna, Portogallo e Italia), stanno pagando sostanzialmente anni di scelerata politica
della spesa pubblica, andata fuori controllo.
A ciò deve aggiungersi la mancata capacità di adeguarsi al nuovo contesto della
globalizzazione, dell’introduzione dell’euro e delle sfide di efficientamento che queste
due novità hanno comportato.
Questi paesi hanno mantenuto, o addirittura peggiorato, il rapporto debito pubblico-PIL
e non hanno colto la sfida competitiva mondiale alla quale le imprese e i sistemi paese
sono stati chiamati.

Ciò ha determinato strutture pubbliche sempre più pesanti e improduttive e azienda in
larga parte incapaci di pianificare attività di ricerca e sviluppo, di riqualificazione dei
propri addetti, di incrementare le proprie dimensioni aziendali, troppo piccole per
competere con i colossi mondiali.
Questi sono i due motivi centrali da affrontare e risolvere per poter superare la crisi.
Una crisi che viene ulteriormente aggravata da previsioni economiche che pronosticano
recessione in tutta l’area dell’euro, che già di per se avrà come conseguenza un minor
reddito imponibile e dunque un minor gettito delle imposte che entreranno nelle casse
degli stati. Se tale scenario dovesse effettivamente verificarsi, ogni tentativo di
risanamento e rientro dai debiti sovrani sarebbe vanificato, con la conseguenza che la
speculazione finanziaria avrebbe buon gioco sull’attacco all’euro, ai tassi d’interesse dei
singoli paesi ei detrattori dell’euro vedrebbero coronato il loro sogno di cancellarlo.

I paesi sotto assedio e l’Europa tutta, debbono:

  • Ritrovare una visione alta della politica, nazionale ed europea, rilanciare azioni volte a dare credibilità sia alla politiche nazionali che a quelle dell’UE, facendole diventare finalmente quelle di un “Super Stato”, capace di inanellare strategie economiche e finanziarie attendibili agli occhi della comunità internazionale;
  • Elaborare politiche economiche di medio e lungo termine che vedano le imprese
    quale centro propulsore della ripresa attraverso azioni concentrate sui seguenti
    temi:

    • Riqualificazione e motivazione delle proprie risorse umane in una logica di
      sforzo corale verso il risanamento delle imprese e nell’accettazione aperta
      delle sfide competitive;
    • Investire sulla capacità di elaborare nuovi piani di sviluppo strategico,
      d’intesa con i governi nazionali ed europeo (per una politica attiva verso
      nuovi mercati);
    • Puntare sull’innovazione tecnologica e la ricerca;
    • Riaprire i rubinetti del credito alle imprese, sia per lo smobilizzo dei crediti
      già maturati, che per quelli futuri, nonché per i nuovi investimenti
      (soprattutto in tecnologie avanzate);
    • Realizzare un patto di durata triennale con i giovani, diplomati e laureati
      in cerca di lavoro, tirandoli via dal tentativo di andare all’estero e
      proponendogli un contratto che sia al contempo formativo e di lavoro, da
      trasformare al termine in un contratto a tempo indeterminato saldando
      così “un’alleanza per il rilancio del paese”, basata su un rapporto di
      reciproca fiducia, ove tutte le parti ci mettono del loro: la faccia (le
      imprese) e la voglia di fare e il talento (i giovani). Naturalmente le
      contratti di lavoro e le condizioni di maggior favore dovrebbero essere
      legati ad un preciso piano di sviluppo e innovazione competitiva delle
      singole aziende.

Tuttavia le posizioni che si stanno manifestando in questi giorni vedono da un lato i
paesi con i conti pubblici più in ordine, come la Germania,e dall’altro i paesi della
“sponda sud dell’Europa”, come l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo e per certi
versi anche la Francia.
I gendarmi tedeschi, con in testa il vice cancelliere Rosler (il Sole 24 ore del 27 luglio
2012), tengono duro e propongono di fatto l’uscita della Grecia dall’euro in quanto
incapace di tener fede agli impegni di risanamento dei conti pubblici. Ma più in
generale, vi è una forte spinta alla fine dell’euro da parte di chi da sempre ha mal
digerito la moneta unica.
Ora l’interrogativo che si pone é: mantenimento dell’euro a tutti icosti (come afferma
Draghi) o espulsione dei paesi più deboli? che di fatto vorrebbe dire la fine dell’euro?

L’interrogativo per la verità ne sottende altri e apre delle riflessioni più ampie.
La creazione della Comunità Economica Europea e della Comunità europea dell’energia
atomica, con i Trattati di Roma del 25 marzo del 1957, ha rappresentato la prima grande
tappa di coesione dei paesi europei, che durante la seconda guerra mondiale si erano
posti in guerra gli uni contro gli altri. Dunque Trattati che ponevano non solo la base per
un’ampia cooperazione economica ma anche un primo caposaldo per una lunga era di
pace. Infatti non dobbiamo dimenticare che le generazioni nate dopo la seconda guerra
mondiale, fortunatamente, non hanno mai conosciuto la tragedia della guerra e degli
odii e delle devastazioni che questa comporta. Non credo che questo risultato, la pace,
sia secondario o trascurabile, anzi credo che sostanzialmente fosse la grande aspirazione che avevano gli europeisti convinti come Spinelli, Rossi, Adenauer, De Gasperi, Monnet e tanti altri. Un’Europa dunque non solo come identità geografica ed economica, ma prima di tutto, come unione di popoli che potessero vivere in pace, animati da comuni radici culturali, protesi verso uno sviluppo socio-economico armonioso, che potesse portarci ad un’Unione di stati anche di tipo politico.
La strada percorsa in questi anni è stata molta, però c’è ancora tanto da fare e la crisi
finanziaria del 2007-2008 ha messo ancora più in risalto tale necessità.

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